Sovrumani silenzi, profondissima quiete

Scritto da  Pubblicato in Francesco Bevilacqua

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bevilacqua_foto_blog_nuova.jpgIl cielo di cobalto sopra i pini: oggi, il pittore della Sila vi ha sparso del latte appena munto. Il latte che sprizza dalle mammelle delle placide mucche al pascolo. La foresta di Caporosa ospita alberi immensi, candelabri poggiati su altari di foglie. Una frotta di piccoli pomi gialli si accalca fra i banchi di prugnoli. Benché sia estate inoltrata, l’erba è ancora verde e grassa, per via delle piogge. Cammino in silenzio. Nel giorno che prelude la fine del breve letargo di agosto. Domani riprenderanno le nostre vite di forzati. Per questo sono malinconico. Per un sentimento così ci vuole la Sila. Solo la sua bellezza serena può consolare. L’illusione di libertà che mi ero ritagliato mi fa orfano. C’è un’atmosfera di sospensione nel bosco. Come di attesa. Attraverso il valico fra la valle dell’Ampollino e quella dell’Arvo. Nel vento c’è una preghiera. La preghiera delle nostre vite sempre in fuga. Penetro nella boscaglia, fuori dal sentiero. Guidato dal ricordo di quel giorno di estenuanti ricerche, in cui scoprii la rupe: miraggio di grigi graniti nel mare verde degli alberi. Come “moai” dell’Isola di Pasqua, rupi dalle umane sembianze preannunciano il luogo amato. Ecco il passaggio, stretto fra la roccia e i pini. Ecco l’altro passaggio, nell’arco di pietra. Ed ecco la sommità della rupe, che s’affaccia sul lago, sui monti, sulle foreste. Sovrumani silenzi, e profondissima quiete, esclamerebbe Leopardi, se fosse qui, ora. Anche per me la vita è un estenuante lavorio di adattamenti e superamenti. A volte penso di non essere così forte per resistere agli scossoni della vita. Poi, però, è la vita stessa che mi costringe ad esser forte. Bisogna vivere, per imparare a vivere! Come queste ciglia attorno all’occhio liquido della Fiumarella: gli ontani neri, che fanno da ali allo scorrere dell’acqua, s’inchinano al vento, come giunchi. Loro sanno come si fa a vivere! Le foglie dei faggi già trascolorano … precocemente, in questa strana estate di tempeste. Il vento le trascina già sul sentiero. Ancora Leopardi: “Lungi dal proprio ramo, povera foglia frale, dove vai tu? Dal faggio là dov’io nacqui mi divise il vento […] vo pellegrina, e tutto l’altro ignoro”. Per qualche ora ancora, mi è concesso, come le foglie, d’andar pellegrino e tutto il resto ignorare. Scende piano, il sole, ad occidente. Quinte di monti ombrosi si affollano sin dove giunge lo sguardo. Solitario è il sentiero, nella luce dorata.

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