La Calabria impari a riguardarsi

Scritto da  Pubblicato in Francesco Bevilacqua

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francesco_bevilacqua_.jpgLa Calabria è un paesaggio irrealizzato. Tanto dovremmo affermare se volessimo parafrasare il principio di individuazione di Carl Gustav Jung (in “L’io e l’inconscio”) e la trasposizione dagli uomini ai luoghi che di quel principio fa Christian Norberg-Schulz (in “Genius loci”). Terra di conquista e di transito, sottoposta a saccheggi umani e a catastrofi naturali, destinata ad un eterno “feudalesimo” (prima quello storico e poi quello morale), la Calabria, mai come negli ultimi centocinquant’anni, è stata oggetto di miraggi: l’unità, l’industrializzazione, lo sviluppo, le fughe, le nostalgie, le rivendicazioni identitarie, l’emancipazione, la secessione. Ma in questo utopismo magmatico che coglie chi è “senza peccato e senza redenzione”, come scrisse Carlo Levi a proposito dei contadini lucani (in “Cristo si è fermato ad Eboli”), è facile perdere la bussola, smarrire il filo di Arianna che consente di uscire dal labirinto.

Ai miraggi, allora, contrapponiamo i paesaggi. Ossia quei luoghi reali che l’uomo, nel bene e nel male, ha forgiato dalle forze vive della natura e che costituiscono la vera identità della Calabria, le sue molteplici vocazioni. Su quei paesaggi che molti narratori calabresi (gli insider) ignorano, divenendone orfani, e che, invece, quasi tutti i viaggiatori stranieri (gli outsider) scoprono, se non anche inventano, occorre costruire il futuro possibile di questa regione, che deve imparare a ri-guadarsi (nel duplice senso di tornare a guardarsi e di aver riguardo per se stessa, come dice, a proposito di tutto il Sud, Franco Cassano ne “Il pensiero meridiano”), a pensarsi, a ritrovarsi.  

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