Neve a macchia sacra. Quando la bellezza educa allo sguardo

Scritto da  Pubblicato in Francesco Bevilacqua

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francesco_bevilacqua-01162018-131824.jpgHo ancora indosso i vestiti dell’erranza di oggi. Ho acceso il camino, mangiato qualcosa, bevuto del vino. Provo un leggero ottundimento. Come una droga buona. Guardo i ceppi e il fuoco, nella luce del crepuscolo che indugia sull’Anello di Querce. Nel silenzio e nella solitudine dei momenti claustrali della mia vita. Mi lascio cullare dalla gioia di questo giorno di prodigi: la neve sulle nostre montagne. Una folata d’inverno artico è giunta quaggiù, nel cuore del Mediterraneo. “Il Grande Nord del Sud” titolai un mio articolo sulla Rivista del Trekking, parlando della Sila. E oggi siamo stati nel cuore della Magna Sila di Virgilio. Dove “due tori animosi vanno a rincontrarsi” (come Turno ed Enea nel mitico duello dell’Eneide). E dove “pascolano formose giovenche”, come nei versi delle Georgiche. E dove immense selve di pini, faggi, abeti, querce, aceri, pioppi si estendono a perdita d’occhio, come in una famosa descrizione di Dionigi d’Alicarnasso. E’ inverno.

E c’è il gelo. Un gelo che non durerà che qualche ora, come accade solo a queste latitudini. Pur sempre un gelo fastoso, profondo, irreale, onirico. Abbiamo colto al volo l’occasione e siamo venuti quassù, verso l’antico valico occidentale della Sila Grande. Il valico di Monte Scuro, da cui Bernard Berenson credette di rivedere il paesaggio dipinto sullo sfondo dell’ “Ascensione della Vergine” di Matteo di Giovanni di Bartolo oggi alla National Gallery di Londra. Al mattino presto, come sempre. Quando il giorno sorge lentamente dalla notte. Quando gli umani giacciono ancora nelle loro tiepide case. E solo i selvatici s’attardano nei boschi. Un manto vergine, immacolato copre questo mondo silente e quieto. E c’è nebbia. E nuvole gravide di neve. Gli alberi, la terra ne recano il peso, senza lamenti. Grati, anzi, per questo momento di sospensione, salvezza, libertà. Non seguiamo la strada tracciata, ma vaghiamo nella foresta. In un dedalo di alberi, i tronchi strinati dal gelo, i rami e le fronde pesanti di neve. Dopo ore, giungiamo alla grande radura di Macchia Sacra. La nebbia fitta ne impedisce la vista. Attendevo di tornare qui da una ventina d’anni almeno. Il freddo tenta di ricacciarci indietro. Ma chiedo ai miei di concedermi solo cinque minuti di colloquio intimo col luogo. Stringo gli occhi. Attendo con fede. Un sole pallido filtra fra le nubi. E rischiara dapprima la larga conca innevata, poi uno sfondo di rilievi boscosi, infine un ciuffo di alberi quasi nel mezzo. E arriva l’d’azzurro. Esattamente come l’ultima volta che venni qui. Siamo in un sogno. Stupiti per tanta bellezza.

Ma quanto vale la bellezza? E davvero la bellezza può salvare il mondo (sempre a patto che l’uomo salvi la bellezza)? Secondo il famoso aforisma di Fedor Dostoevskij riformulato da Salvatore Settis. Il valore della bellezza è incommensurabile e non potrà mai essere monetizzato. Perché essa non è degli economisti, degli sviluppisti, degli avidi finanzieri. La bellezza è un bene comune dal valore incalcolabile. Il suo canone non è l’estetica ma l’etica. E il suo valore non ha prezzo ma dignità. Se il prezzo è il valore che il mercato, per il profitto, assegna a un bene, la dignità è il valore che il nostro spirito, per la gioia di tutti, assegna a quello stesso bene. Conoscere la dignità di questo incanto in cui siamo capitati significa produrre la più grande rivoluzione mai compiuta. Significa assumere che esso deve continuare a esistere non perché produce reddito ma perché è essenziale alla felicità. Significa che la bellezza di questo mondo puro ed effimero educa allo sguardo e alla consapevolezza. Chi vede la bellezza qui come altrove non accetterà mai di svendere i propri luoghi. Questo penso mentre procediamo, stanchi e paghi, sulla neve di Macchia Sacra. E mi sovviene Mircea Eliade: "Il sacro è l'ostacolo per eccellenza alla sua [dell'uomo moderno] libertà". Proprio in questa fraintesa libertà, non più vincolata al riconoscimento del sacro in tutto ciò che umano non è, sta la ragione della nostra disperante incapacità di riconoscere la bellezza e di rispettarla.   

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