Calabria: Dura repressione di Roma contro i Bruzi dopo la partenza di Annibale

Scritto da  Pubblicato in Francesco Vescio

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Alla fine del III secolo a.C. i Romani sottoposero i Bruzi, che si erano schierati prevalentemente con Annibale durante la Seconda Guerra Punica, a condizioni particolarmente oppressive; ma anche altri gruppi etnici della Regione a causa del lungo conflitto avevano subito gravi distruzioni e rovine:

“Non migliore sorte toccò alle altre città greche che videro alternarsi Punici, Bruzi, Romani e Mamertini nell’opera di devastazioni. Anche lo stesso territorio bruzio quando non era campo di battaglia e di razzia per gli eserciti che da quattordici anni lo attraversavano ripetutamente, era ormai in preda al caos e all’abbandono da quando tutti gli uomini atti alle armi s’erano dedicati alla guerra e al saccheggio.

Nelle desolate campagne non si seminava e non si allevava bestiame, poiché ogni prodotto della terra costituiva troppo facile preda di eserciti e di briganti. La fame attanagliava la Regione e se gli stessi soldati di Annibale soffrivano la fame, è facile immaginare che le inermi popolazioni della Regione dovessero morire letteralmente d’inedia. Alla fame si aggiunse il flagello della peste; e alle devastazioni belliche, ai saccheggi, alla fame e alla pestilenza s’aggiunse la tremenda vendetta di Roma.

Il popolo bruzio era stato il primo a ribellarsi ai Romani e l’ultimo ad abbandonare Annibale. I Romani riserbarono perciò ai Bruzi il più duro trattamento: privati del diritto di portare le armi, divennero in massa schiavi comunali agli ordini di Roma, la quale aveva demanializzato l’intero territorio. Lo stesso trattamento fu praticato anche alle città greche che avevano parteggiato, sia pure di mal grado, per Annibale e quindi a tutte le città della Regione, ad eccezione di Reggio, rimasta sempre in possesso dei Romani” (Giuseppe Brasacchio, Storia Economica della Calabria – Dalla Preistoria al II Secolo dopo Cristo – Volume Primo, EffeEmme, Chiaravalle Centrale, 1977, p. 233).

Il testo seguente dà una testimonianza dolorosa delle efferatezze commesse contro la popolazione in quel cruento scontro tra Roma e Cartagine nella Regione:

“E tuttavia a tal punto, in scelleratezza e avidità, Pleminio [Si tratta del comandante dell’esercito romano, luogotenente di Scipione, N.d.R.] superò il comandante della guarnigione cartaginese Amilcare, a tal punto gli uomini del presidio romano superarono i Punici, che sembrava si fosse aperta una competizione non sul piano militare ma su quello della libidine. Nessuno dei soprusi che rendono odioso al debole il potere di chi è più forte fu risparmiato ai cittadini di Locri dal comandante o dai suoi soldati: sulle persone dei cittadini, dei loro figli, delle loro mogli fu consumato ogni genere d’infamia e scelleratezza. E l’avidità non si trattenne nemmeno davanti alla profanazione degli oggetti sacri: non solo fu saccheggiato ogni altro tempio, ma anche il tesoro di Proserpina [Divinità ellenica molto venerata in quel tempo, N.d.R.], che era sempre stato rispettato …” (Tito Livio, Storia di Roma dalla Fondazione, Libri XXIX – XXXIV a cura di Gian Domenico Mazzocato, Newton & Compton Editori, Roma, 1997, pag. 53, Libro XXIX, 8).

I Romani, oltre alle vessazioni sopra richiamate contro la popolazione bruzia, al fine di controllare meglio il territorio conquistato, da loro denominato Brittius ager, dedussero delle colonie di diritto romano e latino; fra queste si ricordano quelle di: Tempsa, Crotone, Copia, Vibo Valentia (Oreste Dito, Calabria – Disegno Storico della Vita e della Cultura Calabrese da’ Tempi più Antichi a’ Nostri Giorni, Edizioni Brenner, Cosenza, 1981, pp. 81 – 83, rist. anastatica). Le note precedenti danno uno spaccato degli eventi, che travagliarono la regione dopo la conquista di Roma, ma possono offrire un significativo spunto di riflessione sulle atrocità delle guerre non solo per i combattenti, ma per le popolazioni in esse coinvolte.

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