Accordo preliminare dell’Unione Europea sui migranti

Scritto da  Pubblicato in Pino Gullà

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Accordo raggiunto (4 ottobre scorso) a maggioranza qualificata sul patto migrazioni e asilo da parte di 22 Stati dell’Ue; contrarie solo Polonia e Ungheria; astenute Repubblica Ceca, Slovacchia e Austria. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ha accolto con favore l’intesa che sarà posizione comune del Consiglio europeo nei negoziati con il Parlamento europeo. Al di là delle ultime notizie finalmente positive provenienti dall’ Ue, è stato di una gravità assoluta il comportamento della politica politicante italiana e di quella di altri Stati europei: in tanti considerano ancora la problematica migratoria in modo strumentale, soltanto come argomento della propria campagna elettorale a giugno. Un esempio per tutti: Macron si è ulteriormente posizionato, più dialogante con la Meloni, dopo che Le Pen è andata a Pontida invitata da Salvini, in occasione della Festa della Lega. In parecchi pensano esclusivamente alla campagna elettorale, mentre i flussi migratori sono aumentati negli ultimi tempi in maniera tale da essere un movimento globale di dimensioni epocali, difficile da bloccare o arginare, qualora si scegliessero malauguratamente iniziative securitarie, ovvero norme di carattere militare o di respingimento con l’obiettivo della dissuasione. La risposta in termini di partecipazione, solidarietà e approccio al problema dovrebbe essere planetaria, non solo europea. Purtroppo la maggioranza degli Stati si è sempre girata dall’altra parte in precedenza; segnali positivi nelle ultime riunioni, anche se nel vertice dei leader dell’Ue a Granada è stato stralciato dal documento finale il patto sulle migrazioni e inserito in una dichiarazione separata dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Recentemente uno scontro in Italia tra politici e magistratura: il Tribunale di Catania non ha considerato valido il trattenimento di alcuni stranieri dichiarando illegittimo il Decreto sulle espulsioni perché in contrasto con la Direttiva europea del 26 giugno 2013 e con l’articolo 10 della nostra Carta costituzionale; per tale motivo il Decreto ministeriale non andrebbe applicato neanche per l’emergenza. Anche la Procura di Firenze e il Tribunale di Potenza bocciano il Decreto. Reazioni da parte governativa e di esponenti della maggioranza parlamentare; polemica politica. Copione già visto. L’Istituto per gli Studi di politica Internazionale (ISPI) sostiene che bisognerebbe gestire i flussi, creando, nel contempo, condizioni favorevoli in termini economici, sociali e politici nei Paesi di partenza per allentare la spinta migratoria. Si parla spesso del Piano Mattei per l’Africa; sarà presentato prossimamente (probabilmente a gennaio); per ora si sa poco; soltanto qualche notizia filtrata. Navigando su Google sono riuscito ad avere qualche informazione, naturalmente con il beneficio d’inventario. Dovrebbe essere una cooperazione con gli Stati africani e non solo (Azerbaigian) per gas e questione migratoria. L’Italia diventerebbe Paese di snodo (hub) tra il Nord Africa e l’Europa del gas naturale e dell’idrogeno. La gestione dei flussi migratori, secondo quanto letto, sarebbe in continuità con la politica iniziata dall’allora ministro degli Interni Marco Minniti in Libia e dal governo di Mario Draghi. Attenzione anche verso la Tunisia. Tale ripresa di interesse dopo gli anni del 2013-2014 viene evidenziata nell’analisi L’Italia in Africa: ragioni, progetti e interrogativi sul possibile rilancio di Giovanni Carbone, docente ordinario di Scienza Politica all’Università di Milano. Due sono i fattori da curare: l’ondata migratoria e gli approvvigionamenti energetici per non dipendere dalla Russia. Meno emigranti e più energia gli obiettivi del Piano Mattei. Sulla stessa linea Mario Ciro, membro della Comunità di Sant’Egidio, già viceministro e sottosegretario dei governi Letta, Renzi e Gentiloni, in Gestire le migrazioni: “Ben difficilmente sarà possibile bloccare gli arrivi con decreti sicurezza o argini di vario tipo”. Per questo tornerebbe utile il Piano Mattei, almeno nelle intenzioni: creare in Africa le produzioni della manifattura e delle industrie del settore alimentare per “mitigare le ragioni di partenza”; realizzare uno sviluppo virtuoso nel continente africano. Non solo un piano di aiuti, ma anche progetti industriali di lungo periodo.

 Purtroppo in Africa permane una situazione di politica debole. Così l’editoriale di Lucio Caracciolo, direttore di Limes, mensile di geopolitica, nel numero di agosto: “Nell’Africa decolonizzata […] dal 1950 […] tentati quasi cinquecento colpi di Stato, la metà riusciti. […] L’epidemia golpista […] ha abolito otto regimi. […] Stati Uniti in affannoso ritardo, Cina, Russia, ma anche Turchia, India, Giappone e simili potenze europee a caccia di enormi ricchezze o di manodopera a costo stracciato”. In crisi la Francafrique, la Francia africana. Nel contempo: “L’impatto del neoliberismo sul continente africano ha contribuito a scavare disuguaglianze disumane fra masse affamate e minime élite ultramiliardarie. […] Con selvaggia privatizzazione di istituzioni e servizi, dove la corruzione è norma”. E dall’analisi di Mario Ciro: “L’esperienza libica ci ha fatto comprendere sin troppo bene che quando manca una solida governance statale, è molto complicato potersi accordare con milizie, gruppi armati e altri attori che ne prendano il posto. Va evitato il caos gestito da soggetti armati senza alcuna legittimità e dediti a traffici illeciti. […] Una politica più strutturata dovrebbe mirare a difendere la tenuta degli Stati subsahariani”. Per l’Italia sarebbe utile collaborare con Francia, Emirati Arabi e Turchia, ormai protagonisti in terra africana. Specialmente la Turchia, un modello positivo. Dall’indagine L’Africa parla turco di Matteo Giusti, africanista, su Domino, rivista di geopolitica diretta da Dario Fabbri: “Ankara ha esteso la propria influenza sull’intero continente africano […] con un mix di religione, armi e investimenti”.  In futuro fondamentale dovrà essere il sostegno agli Stati in difficoltà: “Cooperazione alla sicurezza, collaborazione delle forze dell’ordine, scambio di intelligence”. Successivamente si possono controllare i flussi migratori attraverso la collaborazione dei Paesi d’origine e di transito, dando loro in cambio “cooperazione tecnologica e trasferimento delle produzioni, in particolare agricole”. Da non dimenticare le opere infrastrutturali: “Strade di collegamento, porti e aeroporti. […] Infine, il Piano Mattei dovrebbe inventare un sistema circolare delle migrazioni: la possibilità di venire a formarsi in Italia […] per poi rientrare nel Paese d’origine”. Un esempio in tal senso ce lo dà la Turchia: “[Ha regalato] 500 borse di studio ai giovani somali. […] Stando ai dati del 2021, sono 14 mila i giovani africani che studiano nelle università anatoliche”. Il soft power (capacità di attrarre) passa anche con altre iniziative: politiche, economiche, religiose, militari nei diversi Stati del continente africano. Riuscirà il Piano Mattei a farci uscire dall’emergenza? Si resta in fiduciosa attesa.        

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