Calabria spagnola: un breve profilo storico – artistico

Scritto da  Pubblicato in Francesco Vescio

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 La dominazione spagnola in Calabria perdurò per poco più di due secoli: dai primi anni del secolo XVI agli inizi del XVIII; la regione fece parte integrante del Viceregno di Napoli; nel presente scritto si faranno dei cenni sintetici dal punto di vista dell’articolazione sociale della regione e dell’evoluzione economica della stessa nel periodo oggetto d’indagine per soffermarsi, poi, più a lungo sulle problematiche più strettamente artistiche. Il periodo storico della dominazione spagnola è stato giudicato in modo controverso da diversi studiosi, chi l’ha considerato un periodo molto oscuro, chi invece l’ha visto con un alternarsi di luci ed ombre, queste ultime sarebbero state prevalenti, soprattutto negli ultimi decenni; il brano seguente può essere considerato un significativo quadro sintetico della questione: “Con ciò, non vogliamo affatto sostenere, d’altra parte, che i due secoli della Calabria spagnola si possano nitidamente e rigidamente distinguere in un secolo XVI, luminoso e dinamicamente proiettato in avanti, e in un secolo XVII, oscuro e declinante in un regresso precipitoso. Se il secolo XVI può essere indubbiamente caratterizzato, come si è detto, quale periodo di grande espansione in quasi tutti i campi della vita civile, non è meno vero che nel corso di questo secolo non solo quella espansione già mostra i limiti evidenti e cospicui della capacità di sviluppo della regione, ma si vede anche come in essa si annidino o cominciano a maturare elementi decisivi della successiva crisi.

E per ciò da vari punti di vista e per varii aspetti si può ben dire che pure il declino si delinei nella sua storica e dialettica complessità già alla fine dello stesso secolo XVI. Analogamente, e a riscontro di ciò, sarebbe ugualmente fuorviante una visione del secolo XVII in Calabria come una notte di tenebre, calata su tutto lo scenario regionale, e densa solo della sua oscurità”.  (Giuseppe Galasso, La Calabria Spagnola, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2012, pp. 23-24). Prima di esaminare il panorama artistico calabrese relativo al periodo storico sopra indicato pare opportuno evidenziare che lo stesso, nel suo complesso, ha subito nel trascorrere dei secoli le vicissitudini indicate in modo puntuale nelle note seguenti: “Entro quest’arco si dispongono i ricordi d’arte giunti sino a noi. Sono purtroppo solo i resti di un patrimonio notevolmente depauperato, a causa di distruzioni e danni arrecati da disastri sismici, da spoliazioni, violente o sistematiche, da incuria antica e recente […] le opere superstiti, riportate entro il contesto umano e ambientale dal quale si generano, documentano la storia di un’inquieta vitalità locale e dei suoi rapporti con culture artistiche proprie delle aree cui la zona era legata da relazioni politiche, religiose, commerciali” (Emilia Zinzi, Catanzaro e le Serre: Ragguaglio delle arti – Centro d’Incontro di Culture Diverse, in ‘tuttitalia - Enciclopedia dell’Italia Antica e Moderna’, Edizioni Sadea Sansoni, Firenze, 1963, p.177). Le considerazioni sopra riportare riguardano l’intera regione e non solo la zona geografica indicata nel titolo del testo citato; c’è ancora da ricordare che fino ad a non molti decenni fa gli studi sul patrimonio artistico calabrese erano relativamente limitati per come si evince dal brano successivo relativo in modo specifico all’architettura rinascimentale: “La difficoltà di reperire sia i documenti che le opere ha condotto a trascurare questo periodo per la Calabria, portando alla facile convinzione di un’assenza di fermenti culturali e quindi di opere, di un isolamento e di “ritardi” dovuti a una mancanza di scambi e di informazioni. Niente di più falso se si considera lo spaccato della realtà emersa dallo spoglio di protocolli notarili, dove insieme ad artisti provenienti dai più importanti centri culturali si muovono e lavorano gli artisti locali, che operavano attraverso, disegni, progetti e modelli e il cui apprendistato avveniva nelle botteghe. Come in altre realtà regionali e in particolare in questa area mediterranea, oltre alla Chiesa e alla nobiltà feudale ( costituita dalle famiglie più importanti del Regno come i Sansaverino, i Carafa, i Ruffo), che commissionavano le opere per rapportare la loro immagine a quella dei loro pari anche fuori del Regno, è il commercio e l’intensa attività di banchieri e mercanti genovesi, fiorentini, e veneziani a diffondere la circolazione delle novità anche in campo artistico. Si è riscontrata una differenziazione di influenza esterna, più diretta nella Calabria Citra rispetto alla Ultra [La prima zona era quella più vicina alla capitale Napoli e andava, grosso modo, dal confine con la Basilicata fino al fiume Savuto sul Mar Tirreno e al Neto sul Mare Ionio, N.d.R.] , dove l’importazione del nuovo stile rinascimentale è talvolta mediato dalla vicina Messina. Con il marmo proveniente da Carrara arrivano anche le maestranze capaci di lavorarlo e con essi e i nuovi modelli; il fatto che questi non vengano completamente accettati o adottati, deriva da una scelta consapevole di autonomia linguistica.

I toscani, nel corso del XVI secolo giungono in Calabria chiamati inizialmente dalla committenza ecclesiastica; i primi lavori documentati da essi realizzati nel Cosentino sono commissionati dagli Arcivescovi, che appartengono a nobili famiglie centro settentrionali ben due, in successione sono Gaddi) e la nobiltà incaricherà gli artisti che avevano lavorato per questa qualificata committenza, di progettare monumenti funebri, altari oppure cappelle votive e funerarie. Una notevole attività riguarda il sistema militare e difensivo, a difesa delle scorrerie turchesche, oltre alla realizzazione di numerose torri di guardia costiere, vengono ristrutturati i castelli, dimore dei feudatari poste ai margini dell’ abitato, in posizione strategica come simbolo di dominio e di controllo del territorio ( Simonetta Valtieri, I Linguaggi e i Modelli, in’ Storia della Calabria nel Rinascimento- Le Arti e la Storia’, Gangemi Editore, Roma – Reggio Cal., 2002, p. 191). Considerazioni simili a quelle indicate sopra per quanto concerne l’architettura si possono fare per la pittura e la scultura sia in relazione agli studi e alle ricerche sia ai committenti; in ogni modo per delineare un quadro d’insieme puntuale sul patrimonio artistico calabrese inerente al periodo storico preso in esame si riporta il passo successivo: “Il Rinascimento giunge tardi, fra travagliate vicende storiche. Il nuovo gusto pare venire da Napoli, forse tramite i maestri calabresi emigrati, tra i quali spicca quel Giovanni Donadio da Mormanno, la cui presenza è documentata a Catanzaro (Caldora). L’architettura sacra ha espressioni modeste ma aggraziate. (San Michele a Vibo). Le sono di drammatico e prepotente contrappunto le opere militari che, nel periodo vicereale, serrano in una forte cinta difensiva l’estrema penisola, tra nuove costruzioni e rifacimenti di torri e castelli, carichi di anni e di memorie guerresche. Nonostante le spoliazioni successive, resta un buon numero di opere mobili (dipinti, sculture, oreficerie), commesse da prelati, ordini monastici o devoti. Fonti precipue. Messina e Napoli, con minori contributi dall’area toscana e romana. Alcune documentate (Gagini, Mazzolo, Montorsoli, Antonello De Saliba) altre a legate a complessi problemi attributivi.

Così la Santa Caterina di Badolato, ritenuta della scuola napoletana del valenzano Jacomart (Carandente) o la catanzarese Madonna del Rosario, nella chiesa dello stello titolo, che, se pur viene da Napoli, attesta una cultura affinata da esperienze, che vanno ricercate tra l’area emiliana e quella veneta. Oscure le vicende dei calabresi emigrati, come Paolo di Ciacho da Mileto, allievo del grande Antonello, e Matteo da Nicotera. Nel Seicento, allorché più s’incupisce la vita calabrese e più forte si fa il bisogno di evadere, lascia la natia Stilo Francesco Cozza (1605-82), la cui personalità matura attraverso una serie di esperienze culturali che da Roma lo portano sino in Lombardia.  L’inquieta vitalità locale, che non poteva incanalarsi verso le forme più felici, sfocia in una vivace attività artigianale, alla quale fecondo era stato il contatto cogli artisti napoletani, carraresi e anche stranieri, operosi, tra la fine del Cinquecento ed il secolo successivo, nei cantieri della ricostruita Certosa di Serra San Bruno e del santuario di San Domenico a Soriano. Per quasi due secoli, il gusto decorativo si effonde ora in forme ingenuamente paesane, ora in attente elaborazioni del più aggiornato repertorio giunto da Napoli, tra cui affiora a volte un vecchio motivo medievale e della rinascenza. Sulle semplici e forti strutture delle dimore patrizie, adorne di rigonfi balconi in ferro battuto e di stemmati portali, si aprono nicchie e finestre, si stendono cornici e modanature, lavorate nella pietra locale (Tropea e Vibo). Gli interni chiesastici e gli oratòri delle congreghe laiche (Catanzaro, oratorio del Carmine e del Rosario) si colmano di stucchi, intagli lignei, affreschi, paliotti di <<damasco>> catanzarese o di stucco lucido, altari di marmi intarsiati, talora importati anche da botteghe napoletane e messinesi. Stucco e pietre anche sulle facciate delle chiese” (Emilia Zinzi, op. cit., pp.180-181). Da quanto sopra esposto si può inferire che il patrimonio artistico calabrese del periodo storico preso in esame è molto consistente; gli studi e le ricerche sullo stesso negli ultimi tempi lo stanno portando alla luce, ma forse ne andrebbe curata di più la fruizione da parte del pubblico, e, in particolare, andrebbero conosciute di più le numerose opere d’arte presenti in tanti borghi sparsi nelle zone collinari e montane.

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