La Calabria e il re Gioacchino Murat: un incontro “fatale”

Scritto da  Pubblicato in Francesco Vescio

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francesco_vescio-ok_48ed3-1_c2018_736f4_c645b_efd06_cf25d_61a3f_f5055_5e33f_9bc9f_2e2b4_7933e.jpgGioacchino Murat (La Bastide- Fortunière, 1767- Pizzo Calabro, 1815) fu re di Napoli dal 1808 al 1815; prese parte attiva alla Rivoluzione Francese; deciso sostenitore di Napoleone ne favorì l’ascesa al potere e fu uno dei più importanti protagonisti delle imprese militari di questi; nel presente lavoro inizialmente si riporteranno alcuni dei suoi più significativi dati biografici fino alla designazione a re di Napoli, si forniranno delle notizie più rilevanti sul suo regno, cercando di delineare le iniziative più importanti che riguardarono la Calabria, considerata nella particolare condizione del periodo storico prima indicato. Nel testo successivo si delinea, succintamente, un profilo dei suoi primi anni di vita per avere un ragguaglio sul personaggio e, precipuamente, sulla sua figura di politico e di militare: “Gioacchino Murat nacque a La Bastide- Forturière (Francia) il 25 marzo 1767 da una modesta famiglia di locandieri. Grazie alla protezione di un nobile, ottenne una borsa di studio al collegio di Cahors, che egli lascerà presto per andare a terminare gli studi al seminario di Tolosa. L’aspirazione paterna era che Gioacchino si facesse prete, poiché a quei tempi era simbolo di potenza e di prestigio avere nelle piccole famiglie borghesi un ecclesiastico. I paesani già lo chiamavano l’abate ma, per il carattere focoso e ribelle ad ogni disciplina, lo espulsero dal seminario come elemento indesiderato. In effetti, Gioacchino si era messo in qualche guaio e dovette sostenere un duello per venirne fuori. Un giorno, mentre passava vicino alla sua locanda il reggimento “Cacciatori delle Ardenne”, prese la risoluzione di arruolarsi. Sei mesi dopo era già maresciallo d’alloggio ma, per il solito carattere indisciplinato, venne di nuovo scacciato anche dal reggimento. Fu designato, qualche tempo dopo, a far parte della guardia costituzionale di Luigi XVI ed assieme ad un suo compaesano (Bessieres futuro duca d’Istria) partì per Parigi. Ma anche questa attività lo stancò presto e si arruolò per la seconda volta nei cacciatori, col grado di sottotenente. Un anno dopo, sarà tenente colonnello. Sostenne energicamente la rivoluzione; fu un giacobino fanatico di Marat. Strinse amicizia con Napoleone Bonaparte che, fiutando le doti di valore del suo giovane amico, lo nominò aiutante di campo nella campagna d’Italia del 1796 e successivamente generale di brigata. Aveva solamente 29 anni. Seguì Napoleone nella campagna d’Egitto e grazie al valore dimostrato in battaglia (specie in quella di Abukir) si meritò il grado di generale di divisione. Il 9 Novembre 1799 compì, a beneficio di Napoleone, il colpo di stato in Francia sciogliendo con la forza il Consiglio dei Cinquecento. Nel 1800 sposò Carolina sorella di Napoleone, la più ambiziosa delle sorelle e subito dopo fu nominato: governatore di Parigi, maresciallo dell’Impero, granduca di Clèves e di Berg, grande ammiraglio. Nel 1804, incaricato del comando della cavalleria della “Grande Armata” si coprì di gloria a Jena, e Ejlau, a Friendland,. Nel 1808 fu nominato Re di Napoli e prese il posto di Giuseppe Bonaparte che passò come re, sul trono spagnolo” (Franco Cortese, Sbarco Cattura E Fucilazione Di Gioacchino Murat A Pizzo Calabro nel 1815, Edizioni Brenner, Cosenza, 1977, pp. 9-10).

La situazione del Regno di Napoli nell’anno del trapasso dei poteri da Giuseppe Bonaparte al cognato Gioacchino Murat era a di poco turbolenta, per come si può evincere dal brano che segue: “Murat giunse nel momento in cui si erano allentate le grandi tensioni militari, le riforme [Eversione della feudalità, giustizia, fisco, lavori pubblici, riordinamento amministrativo, pubblica istruzione, etc., N.d.R.]  erano state già tutte impostate, eppure il suo compito si prospettava difficile, se non impossibile. Il regno non era ancora pacificato, gli inglesi [Allora alleati e sostenitori indispensabili dei Borboni, N.d.R.] possedevano un importante osservatorio nello stesso golfo di Napoli, da Ponza il principe di Canosa continuava a tessere le sue trame destabilizzanti, la Calabria era più che mai infestata dai briganti e, quel che più conta, la Sicilia era ancora minacciosamente, e saldamente in mano agli anglo-borbonici. Con un’improvvisa sferzata alla ricostituenda flotta ed al suo esercito, decimato dalle malattie e dai briganti, Murat riprese Capri, assestando un duro colpo a inglesi e massisti [Si tratta di briganti filoborbonici, N.d.R.], rafforzando immediatamente il proprio potere. Egli era ben conscio che per affrancarsi dalla tutela del cognato [Il riferimento è a Napoleone, allora imperatore, N.d.R.] gli necessitava un esercito nazionale e subito emanò disposizioni in tal senso [...] In Calabria Citeriore l’arruolamento procedette spedito tanto che si superò il contingente richiesto. A dire del Greco ciò si doveva al naturale ardire dei giovani, conquistati dal valore militare del nuovo sovrano, ad ambizione, opportunismo o, più semplicemente, necessità” (Antonio Puca, La Calabria nel Decennio Francese, in ‘Storia della Calabria Moderna e Contemporanea – Il Lungo Periodo’, Gangemi Editore, Roma- Reggio Cal., 1992, p. 425). I Calabresi si dividevano tra i favorevoli al nuovo sovrano, i contrari e tanti indifferenti; comunque in quel periodo si avvertì un po’ dappertutto un senso di considerevole novità, per come si può dedurre dal passo successivo: “La presenza di Gioacchino e dei raffinati ufficiali del seguito suscita in Calabria grande impressione per le feste che hanno luogo a Reggio: sono invitati i patrioti calabresi con le giovani figlie, ma relaziona scandalizzato il colonnello Carbone al principe Francesco: ‘A tavola le donne furono separate dai fratelli e mariti’. Le donne vivono dunque in rigorosa clausura familiare, oppresse da una secolare reclusione, vieppiù avvilita da una morbosa gelosia che affonda le radici, annota il De Rivarol, ‘più nell’amore della proprietà che in quello della persona’. Il soffio di una nuova civiltà cittadina e la mondanità degli ufficiali francesi rompono la monotonia del vecchio mondo paesano e nei maggiori centri – a Reggio, a Monteleone [L’odierna: Vibo Valentia, N.d.R.], a Catanzaro, a Cosenza – ‘dopo la venuta dei francesi- scrive il De Rivarol – comincia il gusto delle riunioni’. I borghesi partecipano a queste feste e vi conducono anche le loro donne, ma non mancano i pettegolezzi da parte dei più tenaci tradizionalisti che si mostrano scandalizzati […]. Ma a parte questi episodi di evasioni, la vita quotidiana scorre grave  in una regione nella quale mancano possibilità ricreative per lo spirito e dove la insicurezza generale e le truci vicende del banditismo spengono ogni anelito di convivenza civile” ( Giuseppe Brasacchio, Storia Economica della Calabria- Il Decennio Francese, Vol. Quinto, Edizioni Effemme, Chiaravalle Centrale, 1980, p. 135). 

La disastrosa campagna di Russia (1812), la sconfitta di Lipsia (1813) e quella di Waterloo (1815) portarono al crollo dell’Impero napoleonico; a Napoli ritornarono i Borboni, nonostante i vari tentativi diplomatici e militari di Murat di salvare la corona, anche con repentini mutamenti di alleanze, “…Ma sconfitto a Tolentino [Cittadina in provincia di Macerata, N.d.R.] il 2 e il 3 maggio 1815, abbandonò Napoli e si rifugiò prima in Francia e poi in Corsica” (Franco Cortese, op. cit., p.10). Pochi mesi dopo dalla Corsica organizzò una spedizione (28 settembre) per la riconquista del regno di Napoli, dopo diverse disavventure per mare: si dispersero alcune imbarcazioni con gli armati che erano a bordo,  sbarcò a Pizzo l’8 ottobre con l’intenzione di andare a Monteleone, dove pensava di trovare una buona accoglienza, però fu bloccato nella cittadina tirrenica e costretto a ritirarsi sulla spiaggia, ma il comandante della barca, da traditore, era salpato per Malta; Murat ed i suoi furono catturati e rinchiusi nel castello; seguì il processo, fu condannato e fucilato il 13 0ttobre nello stesso castello il cui era prigioniero. Il brano successivo dà un’idea di come visse gli ultimi momenti della sua esistenza e dei pensieri più intimi che provava verso la famiglia: “ Rimasto solo, Murat scrisse la seguente commovente lettera indirizzata a sua moglie: “Mia cara Carolina, L’ora fatale è arrivata, vado a morire dell’ultimo dei supplizi: fra un’ora non avrai più marito, e i nostri ragazzi non avranno più padre; ricordatevi di me e non dimenticate mai la mia memoria. Muoio innocente, e la mia vita mi è tolta da una sentenza ingiusta. Addio mio Achille, addio mia Letizia, addio mio Luciano, addio mia Luisa. Mostratevi degni di me […]” (Franco Cortese, op.cit., p.28). Le parole riportate danno la prova della dignità dell’uomo e dei legami profondissimi, seppure dolorosi in quel tragico momento, che lo univano a moglie e figli.

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