Per non dimenticare i depistaggi di via D’Amelio

Scritto da  Pubblicato in Pino Gullà

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Ho seguito la diretta televisiva al Senato del 26 ottobre scorso dove Roberto Scarpinato, già procuratore generale presso la Corte d’Appello di Palermo, oggi senatore (indipendente) per il Movimento 5 Stelle, nel suo intervento, rivolgendosi a Giorgia Meloni e al Centrodestra, ha sottolineato: “Il depistaggio sulle stragi neo-fasciste. (…) Resta viva la preoccupazione sul vostro mettere mano alla Costituzione per la riforma del presidenzialismo. (…) Quanto alla sua dichiarata intenzione di mantenere una linea di fermezza nella lotta contro la mafia, mi auguro che valga anche contro la mafia dei colletti bianchi, che va a braccetto con la corruzione”. La replica di Giorgia Meloni, presidente del Consiglio designato, in quel momento in attesa del voto di fiducia a Palazzo Madama: “L’effetto transfert che lei ha fatto tra neo-fascismo, stragi e sostenitori del presidenzialismo è emblematico del teorema con cui parte della magistratura ha costruito processi fallimentari a cominciare dal depistaggio nel primo giudizio sulla strage di via D’Amelio. E questo è tutto quello che ho da dire.”

Ma ciò non riguarda l’operato di magistrato di Scarpinato che ha scritto su Micromega: “Nella motivazione della sentenza depositata il 30 giugno 2018 dalla Corte d’Assise di Caltanissetta nel processo per la strage di Via D’Amelio del 19 luglio 1992, i giudici hanno passato in rassegna i depistaggi per ostacolare l’accertamento delle responsabilità e dei retroscena di quella strage, oltre il livello degli esecutori mafiosi”. Non si è riusciti a trovare l’agenda rossa nella quale Paolo Borsellino appuntava tutte le informazioni, dopo la strage di Capaci del 23 maggio dove avevano perso la vita Falcone, la moglie e gli agenti della scorta. Il magistrato aveva confidato alla moglie Agnese che “dietro le stragi non ci fossero solo mafiosi”.

Scarpinato nella Lectio “Chi ha paura della giustizia?”, tenuta il 19 settembre del 2018 a Trani in occasione della XII Edizione dei Dialoghi di Trani, dedicati al tema della “Paura” e pubblicata da MicroMega nel numero di luglio del 2018, parla dei depistaggi nelle indagini, come scritto dai giudici. Ho scelto questo passaggio, a mio avviso, fondamentale: “E’ lecito interrogarsi sulle finalità realmente perseguite (…) alla eventuale finalità di occultamento della responsabilità di altri soggetti per la strage, nel quadro di una convergenza d’interessi tra Cosa Nostra e altri centri di potere che percepivano come un pericolo l’opera del magistrato”.

Salvatore Borsellino, fratello di Paolo il magistrato ucciso insieme ai cinque agenti della scorta nella strage di via D’Amelio il 19 luglio del 92 a Palermo, in occasione del trentennale, ha chiesto “il silenzio della politica senza cerimonie”. Ecco un messaggio importante di Mattarella alla famiglia: “Processi ancora in corso disvelino appieno le responsabilità di quel crudele attentato e degli oscuri tentativi di deviare le indagini”; anche le parole di Mario Draghi sono significative: “Dobbiamo continuare nella ricerca di verità sullo stragismo mafioso”. Giovanni Melillo, procuratore nazionale antimafia, si è scusato pubblicamente in una intervista al Corriere della Sera: “Non posso che chiedere pubblicamente scusa per tutte le omissioni e gli errori, ma anche per la superficialità e persino la vanità che hanno ostacolato la ricerca della verità”. I messaggi pongono in evidenza i depistaggi che hanno impedito finora di far luce sullo stragismo mafioso. Borsellino 1, bis, ter, quater; in 30 anni tanti processi, appelli e pronunce della Cassazione; viene considerato “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”. 

Il depistaggio è diventato sistema per proteggere alcuni poteri occulti; un vero pericolo per il diritto e la democrazia; tanto è vero che il 5 luglio del 2016 il Parlamento “ha definitivamente approvato il disegno di legge che introduce nel codice penale il reato di frode processuale e depistaggio [art. 375]”. E’ prevista la reclusione da 3 a 8 anni (aumentata da un terzo alla metà ove ricorrano determinate aggravanti come, ad esempio, la soppressione e l’occultamento di documenti [es. l’agenda rossa di Borsellino]. Scarpinato è stato tra i più fervidi sostenitori di tale fattispecie di reato penale perché si era reso conto “dell’impunità di soggetti autori accertati di gravi fatti di depistaggio”.

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