
Lamezia Terme, 28 novembre - Ma quanta strana parrasia si è fatta ieri, martedì 27 novembre, al Cavallino Bianco, in occasione del nuovo appuntamento del “dimartedìculturando” della premiata ditta Cataldi-Cozzitorto-Pugliese. Argomento della serata, la poesia di Tullio Calfa, avvocato lametino con il piglio poetico del verso in vernacolo. Un vero e proprio profilo d’artista quello tracciato da Ines Pugliese, per i tratti di “un figlio di Calabria che esprime un forte senso di appartenenza alla sua terra”. Ecco spiegata, chiarisce ancora la scrittrice, la scelta del dialetto nella sua poesia, in particolare nel desiderio di “ritrovare i profumi antichi, il suono del vento e della pioggia della nostra regione”.
L’identica magica trasposizione nel tempo e nello spazio ricambiata dall’intrattenimento musicale della serata, in cui tre musicisti di Calabria, Daniele Mazza, Vincenzo Piazzetta ed Enzo Careri, concorrono a ridisegnare atmosfere di una certa tradizione. Si tratta di brani dal sapore etnico e popolare, e di strumenti – costruiti a mano dagli stessi artisti che si sono esibiti – a testimoniare echi e suoni suggestivi dei trascorsi della nostra terra: organetto, chitarra battente, zampogna, flauto, lira calabrese. In una cornice rosso fuoco, tanto era di scena il ritmo incalzante di quella metrica, la poesia di Calfa è dunque presentata in chiave verista, per gli accenni ai colori d’ogni giorno. Come vere le situazioni descritte - e declamate da Giancarlo Davoli - ne ‘I strati ‘i Nicastro, dove “tutti vannu sempri scappandu”.
Anche secondo il prof. Tommaso Cozzitorto il vernacolo dà al poeta l’opportunità “di cogliere l’originario del subcosciente e di ricreare la gestualità del quotidiano”. Utilizzando un’immagine suggestiva, il critico lametino ha offerto poi alla poetica di Tullio Calfa un’analisi che irrompe nei suoi più intimi trascorsi: il tuono come inesorabile avvertimento - questa la metafora – di una pioggia scrosciante, di una nebbia ingombrante, ma che prima o poi inevitabilmente “lascia spazio al primo sole di marzo e poi a quello più acceso di maggio”. Una sorta di offerta panacea all’avvocato poeta, che il ghigno crudele del destino ha voluto si trattenesse anche in giorni bui da tempesta. Ma nelle parole di Cozzitorto tutto trova rifugio nel verso, “nel mezzo più nobile per scorgere la vita”.
C’è anche spazio per le poesie in italiano, come per l’interessante Lo specchio crudele, analisi impetuosa di un uomo canuto – moderno e provinciale Dorian Gray - che ripercorre nel suo riflesso allo specchio lo strazio del tempo perduto; ma consciamente rassegnato, in uno scatto d’orgoglio nei confronti di quell’oggetto “di materiale inerte”, chiude poi con un gesto di rivalsa: “Io sono vivo, vivo per vivere”. E poi si torna al vernacolo, con un Davoli a leggere con tanto di berretto e gilet dei costumi tradizionali: La strana parrasia, in cui si parla dell’eterno conflitto tra italiano e dialetto, del problema della legittimazione culturale, ma con una tarantella che smuove gambe e coscienze intorpidite dai pregiudizi.
A questo proposito Tullio Calfa, incensato dalle domande finali del giornalista Gian Maria Cataldi, confessa di aver scoperto nell’uso del dialetto la vera fonte d’ispirazione – “collegata direttamente al cuore” -, che riesce a restituire al lettore il suo profilo più “allegro, simpatico e spontaneo”. Il dialetto consente dunque alle sue riflessioni di sortire un effetto tutto particolare, e a lui di sottoscrivere, con l’ironia che lo contraddistingue, il suo autentico testamento culturale. Come un fanciullino pascoliniano aggrappato all’eternità, “cumu chillu c’a ‘ncora vo sunnari ‘i stari supra ‘sta terra ppi’ jiucari”.
Pasquale Allegro
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