Francesco, la montagna, la ricchezza della povertà


Scritto da  Pubblicato in Francesco Bevilacqua

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francesco_bevilacqua_.jpgFrancesco è nato nel cuore della valle del Fiume Argentino. Fra le Montagne dell'Orsomarso, nel nord-ovest della Calabria. In uno di quei luoghi difficili da assoggettare all'opera dell'uomo, che Manlio Rossi Doria, meridionalista e padre della riforma agraria in Calabria, chiamava "l'osso" del Sud (le montagne smisurate ed abrupte) per contrapporlo a "la polpa" (le risicate, fertili pianure). Vi è nato ottant'anni fa. Quando i nostri avi erano "poveri", non avevano "le comodità", non potevano scegliere cosa e quanto consumare. Primo di tredici figli, tredici! In una piccola casa di pietre. Isolata. Sperduta. Tra foreste, cascate, rupi, orti, pascoli. In mezzo a capre, maiali, vacche, lupi, caprioli, aquile. Francesco e i suoi fratelli avevano fame. Ma c'era di che mangiare.

Quel che producevano le pendici terrazzate a gradoni e la forza delle braccia: grano, olive, ortaggi, frutta, latte, formaggi, carne nei giorni di festa. Conoscevano l'uso officinale delle piante selvatiche, l'utilizzo del legno dei vari alberi. Sapevano quando sarebbe venuta la pioggia. Ogni giorno qualcuno faceva lunghi andi-rivieni per i monti. Con gli animali. I genitori di Francesco dovevano credere nella vita, se misero al mondo tredici creature. Quando c'era la povertà. Oggi che c'è ricchezza, invece, di figli ne facciamo pochissimi. Segno che nella vita crediamo molto meno. Curioso vero? Non vorrà forse dire che quando c'era la povertà si era forse più felici, come ricordano, da sponde opposte, Pier Paolo Pasolini e Leo Longanesi?

O come recita un vecchio proverbio calabrese riportato da Giuseppe Berto: "Signuri chi allu poviru fa' dunu di la ricchezza di la puvirtati" [Signore che al povero fai dono della ricchezza della povertà]. Francesco vive ora in una casetta di pietre in campagna. A metà strada, tra il borgo di Orsomarso e la rupe di Castel di Raione. Nei pressi della grotta carsica del Frassaneto. Conduce esattamente la vita di allora. E' instancabile. E' generoso. E' mite. Tra figli e nipoti sparsi per il mondo ne ha un'ottantina. Con lui ho vissuto una straordinaria avventura nel ventre più segreto e selvaggio delle Gole dell'Argentino.

Per come camminava e si orientava in quel labirinto di latebre fluviali e foreste fitte, mi richiamò alla mente Dersù Uzala, protagonista di un film di Akira Kurosawa, ambientato nella Taiga siberiana. Francesco è uscito da poco da una brutta malattia. Che l'ha tenuto a lungo lontano dal suo podere, dalla sua montagna. Abbiamo tutti disperato che ce la facesse. Ma è guarito. L'ho rivisto qualche giorno fa. Nella sua casetta di pietre. Sembrava non fosse accaduto nulla. Stesso sorriso. Stesso candore. Stesso infaticabile attivismo. Stessa solitudine. Stessa umiltà. Stessa povertà di cuore e d'anima. Chiamatemi pure "passatista". Ma io credo che Francesco non sarebbe mai guarito dalla malattia, senza il ricordo della sua montagna. E senza la segreta speranza di tornarci a vivere. E di morirvi, un giorno, felice per come vi ha vissuto.

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