Selvaggi, sottosviluppati, lobotomizzati

Scritto da  Pubblicato in Francesco Bevilacqua

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francesco_bevilacqua_.jpgDopo aver letto "Il silenzio della terra. Solociologia postcoloniale, realtà aborigene e l'importanza del luogo" (Mimesis editore) di Raewyn Connell e Laura Corradi. Sono sempre più convinto che anche qui, nel nostro Sud, occorra trovare una qualche forma di auto-realizzazione, nel senso che Carl Gusta Jung dava a questo concetto ovvero al “principio di individuazione”: il compito fondamentale della vita di ciascuno (ma potremmo parlare anche di un popolo o di un luogo) è realizzare quel se stesso che è iscritto nel proprio codice genetico, che costituisce la vocazione innata. Ora io parlo di una auto-realizzazione che si differenzi dal pensiero unico della globalizzazione neoliberista (che, per quel che mi risulta, ha i suoi cardini fondamentali nella cancellazione delle culture diverse e nel saccheggio inconsulto delle risorse naturali). E per far questo abbiamo bisogno del ripristino della memoria, della rianimazione del sentimento, della riattivazione della passione. Ciò che Raewyn e Laura chiamano "la mente, la pelle, il cuore, le viscere della popolazioni indigene".

Già, perché la nostra condizione non è poi così diversa da quella di altri Sud del mondo. Qualcosa ci accomuna agli aborigeni australiani ed a qualche sperduta tribù amazzonica. Anche noi siamo selvaggi. Anche noi siamo refrattari allo sviluppo. Anche noi non siamo stati ancora modernizzati. Parola che mi richiama "lobotomizzati". La lobotomia è una desueta pratica psichiatrica che consisteva nel recidere chirurgicamente le connessioni della corteccia cerebrale nel cranio dei cosiddetti matti. E lobotomia è quella che i fautori del pensiero unico stanno praticando sulle popolazioni dei Sud del mondo. Certo, non c'è da fare sconti a noi stessi, ai nostri vizi, alle nostre mafie, ai nostri illusionisti delle retoriche identitarie, ai revanscisti neoborbonici, alla nostra classe dirigente inetta, collusa e corrotta. Ma nemmeno c'è da perseverare in questa folle e disperante autocommiserazione di non essere come gli altri, come quelli del Nord. E' solo qui, in questo eloquente silenzio della terra, in questo perduto legame tra uomini e luoghi, che il Sud potrebbe, se solo davvero lo volesse, realizzare se stesso.

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