Lamezia abbandonata a se stessa

Scritto da  Pubblicato in Giovanni Iuffrida

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Iuffrida_matita.jpgLamezia è la città  calabrese le cui potenzialità sono maggiormente sottolineate da fattori naturali. Per diritto “naturale”, dunque, avrebbe dovuto sviluppare un ruolo di grande rilievo amministrativo capace di coagulare intorno a sé funzioni e servizi anche d'importanza nazionale, ma, evidentemente, a svantaggio di altri centri urbani regionali. Questa è la chiave di lettura fondamentale per capire le ragioni dell'abbandono, da parte di molte istituzioni (quelle giudiziarie comprese), di Lamezia a se stessa. La parola d'ordine era ed è “affossarla”. In realtà tutte le più importanti attività politico-giudiziarie messe in atto dal 1982 ad oggi hanno dimostrato l'esistenza di una forte azione massonica di contrasto alla naturale forza propulsiva endogena della città, impedendo di fatto a Lamezia di proporsi anche per autorevolezza politica e amministrativa. In altri termini, le cicliche certificazioni pubbliche di città di mafia (purtroppo, senza esiti penali significativi) e le varie vicende giudiziarie che l'hanno riguardata rappresentano momenti apparentemente diversi e scollegati tra di loro ma che realisticamente vanno nella stessa direzione: la consegna di Lamezia, per un chiaro disegno politico, al giogo della mafia e della massoneria regionale. Anche le ultime sentenze, alcune delle quali solo apparentemente favorevoli, suonano come campane di un funerale annunciato. Se si percorre l'attualità, si ha la conferma dell'azione dell'esistenza dei due poteri forti che inabissano progressivamente Lamezia. Il Patto per lo sviluppo della città, per esempio, declamato e apparentemente condiviso dalla Regione Calabria in fase elettorale (anno 2010) è stato completamente affossato, al di là dei suoi pregi e difetti. Di contro Lamezia si trova a dover fronteggiare, più di altre realtà locali, la grave morsa della crisi economica con tributi che di colpo hanno raggiunto il massimo possibile.
In periodi di vacche grasse, il gravame tributario non avrebbe comportato effetti negativi particolari. Ma la pesantezza delle attuali condizioni dei bilanci delle famiglie pretenderebbe una risposta diversa. Praticamente si è passati, nel corso di un decennio, da tributi al minimo (da spot elettorale) al massimo possibile, bruscamente, proprio nel momento di maggiore difficoltà economica dei cittadini.

Tutto questo accade mentre persino i boss della mafia tradizionale palermitana si sono arresi alla crisi non chiedendo più la “mesata” (il pizzo), perché la crisi stessa non va bene nemmeno agli esattori del racket (Alessandra Ziniti, “La mafia si arrende alla crisi, il pizzo si pagherà con lo sconto”). Ora la mafia palermitana non chiede più il pizzo ma il rispetto, dovuto per la comprensione  nei confronti dei commercianti in difficoltà. I comuni “virtuosi” della Calabria, soprattutto quelli dell'antimafia di professione, per far quadrare i propri conti politici aumentano invece al massimo i tributi, fino a cantare l'inno della consegna della città alla mafia imprenditrice: la sola in grado (per disponibilità economica, grazie al fiorente mercato della droga) di rilevare immobili agricoli e urbani (terreni e costruzioni) accelerando il processo di totale appropriazione del territorio, proprio per effetto del pizzo tributario pubblico, che costringe le famiglie a liberarsi dei propri beni realizzati con fatiche e rinunce. Così Lamezia, per un altro decennio, continuerà a stare in ginocchio nella propria fossa. La massoneria regionale e la mafia sentitamente ringraziano.

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