Dal rettore della Bocconi come costruire il futuro oggi

Scritto da  Pubblicato in Pino Gullà

© RIPRODUZIONE RISERVATA

pino_gulla_865eb_a280e_8b2cb_708ae_7bd60_dbe72_1b2ed_af80b_ab265_f0cb0_ec3b1_4918c_cd7de_e6a0f_21afb.jpgFrancesco Billari, rettore e ordinario di Demografia e Statistica dell’Università Bocconi di Milano, è stato intervistato tempo fa da Sveva Sagramola, conduttrice insieme ad Emanuele Biggi, di Geo, programma televisivo, a mio parere, tra i più importanti e gradevoli della Rai, un racconto ecologico integrale e complesso: si occupa di natura, salute, gastronomia, scienza, tecnologia, attualità e costume. Lo studioso ha parlato del suo libro, Domani è oggi. Costruire il futuro con le lenti della demografia, edito da Egea, un saggio di 128 pagine e altre 7 di bibliografia per chi vuole approfondire.  Il breve volume è caratterizzato da ricchezza di dati e visione degli scenari futuri, in controtendenza rispetto alle emergenze e alle nostre ansie dell’oggi; lontano dai profeti di sventure per gli anni che verranno. Leggendo ho incontrato dei neologismi; la permaemergenza, vuol significare emergenza permanente, collegata alla politica. Billari la preferisce a permacrisi: “[Termine] coniato attorno al periodo segnato dalla pandemia di Covid-19. (…) L’idea di emergenza è però la nozione importante dal punto di vista dell’inquadramento di una questione e delle relative decisioni di policy [politica]” (p. 68). Altra parola l’idea <<progressofobica>> di Steven Pinker: “Lo psicologo di Harvard accusa esplicitamente gli intellettuali di diffondere questa idea progressofobica, guardando con troppa benevolenza al passato e con troppa severità al futuro” (71).

Una bella storia quella del professore Billari; di madre siciliana e padre calabrese; ai genitori è dedicato il libro. La storia di una famiglia meridionale emigrata a Milano; mantiene agli studi il proprio figliolo che frequenta l’Università milanese e poi si afferma in Europa e quindi a livello internazionale (a Berlino, Oxford, Barcellona, Pennsylvania). Oggi è rettore alla Bocconi, l’Università dove si è laureato. Domani è Oggi, pubblicazione fondamentale per la conoscenza dei cambiamenti demografici e utile alla Politica con la “P” maiuscola perché funzionale alla governabilità dei movimenti migratori. Di facile lettura, divulgativo, in particolare per chi ha sensibilità civili verso le problematiche esposte senza essere necessariamente addetti ai lavori. La ricerca è uscita dal chiuso dei Dipartimenti per essere valido strumento di risoluzione delle questioni drammatiche del Pianeta.

Fin dalle prime battute dell’intervista mi sono accorto che il libro suscitava immediato interesse. Gli stessi temi li avevo illustrati in precedenti articoli a proposito di Massimo Livi Bacci, altro demografo citato nella prima parte del saggio, nel quinto capitolo e nell’ottavo. Ho subito iniziato a leggere le prime 16 pagine in anteprima su Google e poi l’edizione completa su carta stampata. Un’analogia nell’introduzione: l’orologio per capire come funzionano demografia, economia e politica. La lancetta più corta rappresenta la demografia; si muove lentamente osservando i mutamenti storici; la lancetta “di media lunghezza” raffigura l’economia “che cambia in modo visibile ma non frenetico, necessita di analisi e programmazione”; La lancetta più lunga si sposta velocemente come fa la politica: “Un tweet può cambiare il corso di un governo, di un’alleanza, di una carriera politica”. Billari prende a prestito il paragone dell’orologio da Alfred Sauvy, economista, sociologo e demografo francese del ‘900: “La lancetta corta dell’orologio è la più importante, anche se sembra immobile. La lentezza dei fenomeni demografici li rende carichi di conseguenze, pur tenendoli nascosti all’attenzione dei contemporanei, che li subiscono” (Alfred Sauvy, La Population: ses mouvements, ses lois, quarta ed. 1957). Sostiene Billari: “È fondamentale andare a capire quando la lancetta corta può subire uno spostamento. Succede per le migrazioni dove la politica può spostare la lancetta delle ore; per la rivoluzione digitale (…) per le grandi emergenze che minacciano la nostra salute e il pianeta riportando indietro la lancetta corta” (pp. 65-66).

Che fare di fronte a questi movimenti? Per andare avanti nella ricerca con metodo e dare risposte lo studioso ha un altro riferimento, Daniel Kahneman, psicologo israeliano, premio Nobel per l’Economia nel 2002: “La nostra mente (…) possiamo immaginarla come formata da due sistemi: Il sistema 1, quello veloce, ci aiuta a prendere decisioni automatiche, inconsce e talora emotive, senza poter raccogliere molte informazioni. Il sistema 2, lento razionale e adatto alla pianificazione ci aiuta a prendere decisioni (…) strategiche, avendo avuto il tempo di raccogliere i dati. I due sistemi sono complementari e sono fortemente in continua interazione reciproca. (…) Dobbiamo avere uno sguardo multitasking [osservare in contemporanea fenomeni diversi]” (p. 3). Volume di riferimento: Pensieri lenti e veloci, trad. it. Milano, Mondadori 2020. L’approccio del saggio è complesso: rivolto al presente e al futuro; nell’oggi reagire immediatamente ad una emergenza; se c’è tempo guardare meglio e raccogliere altre informazioni per essere maggiormente efficace; nel contempo guardare lontano verso l’orizzonte del futuro per progettare nel lungo periodo; si potrebbero intravedere nuovi scenari. È fondamentale la gestione dell’oggi in funzione del domani: “Le decisioni di oggi (…) influenzeranno inevitabilmente il domani, cambiando la rotta futura. Anche quando non decidiamo (…) implicitamente modifichiamo i percorsi possibili per il nostro futuro” (p. 4). Per le migrazioni dovrebbe entrare in azione il sistema 1, quello veloce, la politica, per le emergenze umanitarie (profughi, rifugiati, eventi singoli, situazioni complesse) anche in chiave prospettica, per il futuro. Se l’emergenza si ripete nello stesso luogo per anni, allora vuol dire che non è entrato in azione il sistema 2, quello riflessivo” (p.77). La politica, l’economia, la cultura, la società sono gli influencer dei movimenti demografici.

Nella Prima parte-Lento. La costruzione del domani trova posto un paese calabrese a due passi da Lamezia: “L’Italia condivide il pessimismo con la Grecia il record del pessimismo nei paesi occidentali. Significativo il fatto che nella nostra Magna Grecia, in Calabria, a Soveria Mannelli, sia stato ideato un <<Festival del Lamento>>: come dicono i fondatori <<Lamentarsi costituisce in Calabria un’ontologia, uno scandire il tempo>>” (p. 10). E la Calabria tutta insieme alla Sardegna ne L’eccezionalismo demografico italiano: “La durata della vita, dove appunto siamo diventati leader, fa sì che i nostri centenari delle aree interne della Sardegna e della Calabria siano studiati, con i loro stili di vita, come la dieta mediterranea, e presi come esempio” (p. 25).

In Italia gran parte dell’opinione pubblica è consapevole del problema demografico nostrano, il cosiddetto inverno demografico: la minore natalità rispetto al passato. Bassa fecondità e alta longevità con livelli record in Calabria e in Sardegna. C’è bisogno della demografia per cambiare la rotta verso l’aumento delle nascite. Già è stato fatto con risultati positivi in altri Paesi: in Francia e in Svezia. Nello Stato transalpino, a metà del secolo scorso (1945) è stato fondato l’Ined (Istitut National d’Ètudes Demographiques), il primo istituto di ricerca demografica del mondo con approccio complesso: dati e contributi provenienti da diverse discipline e l’importanza della demografia per la politica. Direttore dell’Istituto Alfred Sauvy, suggeritore delle prime misure di sostegno alla famiglia e alla natalità. Così facendo i Francesi hanno recuperato lo svantaggio del secolo precedente (Ottocento) nei confronti della Germania, dell’Italia e della Spagna.

Pure in Svezia, nei primi decenni del Novecento, la bassa fecondità era diventata preoccupante: nel 1936, prima del secondo conflitto mondiale, il Paese scandinavo era al minimo di 1,73 figli per coppia; il tasso di natalità risultava il più basso del mondo. Billari cita due coniugi svedesi, Alva e Gunnar Mirdal, entrambi Nobel, rispettivamente per la Pace e per l’Economia. Pubblicarono nel 1934 Kris i befolkningsfrågan (la crisi nella questione della popolazione) sull’importanza della fecondità e le necessarie risposte politiche per arginare l’eventuale diminuzione demografica. Ne seguirono un dibattito pubblico e la costituzione nel 1935 di una Commissione Reale sulle tematiche in questione. Il lavoro fu fattivo nelle analisi e nelle risposte: diagnosi e censimento, immediatamente dopo furono pubblicati studi e suggerimenti di politiche innovative. Venne elaborato un welfare che rendeva compatibile il lavoro con la vita di coppia, l’eguaglianza tra generi e molta attenzione “sul benessere dei bambini e dei giovani, fino alla scuola e all’Università. (…) Dal XVIII secolo [gli Svedesi] già dispongono di registri delle nascite, dei matrimoni, dei decessi; giungono a sviluppare un sistema statistico e di valutazione delle politiche senza pari, diffuso poi negli altri Paesi nordici. Dal 1947, utilizzando il <<numero di identificazione personale>> (il nostro codice fiscale, per intenderci), i <<registri di popolazione>> collegano i dati sulle misure di welfare con esiti demografici, sanitari, le carriere lavorative, le condizioni economiche e gli esiti scolastici dei beneficiari. In questo contesto, (…) la popolazione svedese non è mai calata” (p. 24). I Paesi nordici sono entrati nella complessità del fenomeno demografico, governandolo con il welfare. Francia e Svezia hanno in gran parte risolto il problema analizzando l’oggi per il domani.

Angela Merkel è la campionessa dell’accoglienza, l’anno scorso le è stato conferito il premio Nansen per i rifugiati. Così l’Alto Commissario ONU per i rifugiati: “Aiutando più di un milione di rifugiati ha mostrato grande coraggio morale e politico” (p.77). Nel 2015 oltre i 2 milioni di stranieri; nel 2022 due milioni e mezzo di Ucraini fuggiti dalla guerra hanno trovato asilo in terra tedesca. Merkel non ha trascurato l’integrazione, soprattutto dopo la nomina di Ursula von der Leyen a ministro della famiglia: venne data massima attenzione alla possibilità di armonizzare lavoro, famiglia e asili nido ai bambini. In proposito Billari: “Angela Merkel ha spostato verso un futuro più sostenibile la lancetta corta della demografia tedesca” (p. 81).   

L’Italia potrebbe guardare a questi esempi virtuosi perché è caratterizzata da una notevole longevità e da una bassissima fecondità: “Siamo molto vicini ad un figlio per coppia” (p. 25). Nel 1964 il numero dei nati era più di un milione, il baby boom italiano; nel 2021 sono stati meno di 400 mila infanti. Un passaggio significativo del saggio di Billari: “Alla fine del 2013 la popolazione [era più] di 60,3 milioni di abitanti. (…) All’inizio del 2023 la popolazione residente è inferiore a 59 milioni. (…) Il calo non è avvenuto prima solamente grazie all’afflusso di centinaia di migliaia di stranieri, diventati poi milioni, negli ultimi trent’anni” (p.26). E ancora, osservando i dati nel Terzo Millennio: “Al 1º gennaio 2003 (…) sono quasi 4 milioni e 700 mila i figli del baby boom, nati tra il 1963 e il 1968. Questo gruppo si trova in un’età centrale per il mondo del lavoro, ancora nel pieno dell’età per diventare genitori. (…) Passiamo a vent’anni dopo, all’inizio del 2023: il gruppo dei nati tra il 1963 e il 1968 è ancora numeroso (…) grazie all’apporto degli immigrati. Questo gruppo ha ormai tra 55 e 59 anni, un’età meno centrale per il mondo del lavoro italiano e che, salvo rare eccezioni, non consente di diventare genitori. La quota degli ultra-sessantacinquenni ha superato il 24%. Siamo sul podio mondiale dell’invecchiamento della popolazione: la quota dei 65+ è la terza più alta del mondo” (pp. 27-28). Le proiezioni dell’ISTAT (Istituto nazionale di statistica) sono davvero preoccupanti: “Lo scenario prevede una continuazione del trend di diminuzione per la  popolazione complessiva: 58 milioni nel 2030, 56,5 nel 2040 e 54,6 nel 2050. (…) Fino al 2080, quando l’Italia dovrebbe avere 45,8 milioni di abitanti. (…) Nello scenario del 2050 la classe più numerosa sarebbe quella tra 75 e 79 anni” (p.29).

Dovremmo dire agli immigrati “BENVENUTI!”, al netto naturalmente di delinquenti, clandestini e terroristi. Altro che respingimenti. In 20 anni sono aumentati dal 2,7 all’8,6%. In proposito Billari: “In un Paese a bassa fecondità le migrazioni forniscono un apporto demografico notevole. (…) [Migranti] che dobbiamo attrarre e convincere a restare con noi. (…) Solo una politica migratoria esplicita e attiva, mirata all’integrazione e allo sviluppo delle competenze, può rispondere alla grande sfida demografica che l’Italia sta affrontando (…) Se vogliamo mantenere la popolazione costante nei prossimi dieci anni, occorre aggiungere (…) 100 -110 mila immigrati in più al netto delle emigrazioni” (pp. 86, 89, 90).  Quali sarebbero le azioni politiche adeguate? Billari risponde con le parole del Presidente Mattarella: “Soltanto ingressi regolari, sostenibili, ma in numero adeguatamente ampio” (pp. 88). Proposte: asili nido e servizi; elevare l’obbligo formativo fino a 18 anni; immigrazione e integrazione, superare l’attuale legislazione dell’immigrazione; percorsi di formazione; apertura di canali d’ingresso regolari per studenti, lavoratori e famiglie.

Per fare questo, dice il rettore della Bocconi, c’è bisogno di “politici lungimiranti e di accordi ampi” che sappiano “usare l’occhio che guarda all’oggi, anche per generare consenso, mettendo in rete evidenze, competenze e migliori pratiche. (…) Abbiamo altresì la fondamentale necessità di usare l’occhio che guarda al domani. (…) Dobbiamo valutare una molteplicità di domani, pensando a quanto potrebbe accadere tra uno, cinque, dieci, a volte venti o quarant’anni. Lo possiamo fare, appunto, attraverso le lenti demografiche” (p.121). C’è tanto altro nel libro: La riforma necessaria della scuola, la piramide demografica, la nave demografica, le navi demografiche dei migranti … Un invito alla lettura.

© RIPRODUZIONE RISERVATA