Il rapimento Moro nella trasmissione Report di Rai 3. Interrogativi inquietanti

Scritto da  Pubblicato in Pino Gullà

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La trasmissione televisiva Report del 7 gennaio di Sigfrido Ranucci sul rapimento di Aldo Moro dove si mettono in discussione le tante inchieste precedenti, mi ha spinto a riaprire il libro di Paolo Borrometi Traditori. Come fango e depistaggio hanno segnato la storia italiana, edito da Solferino. In particolare sono andato a rivedere le pagine riguardanti i velati avvertimenti fatti al presidente della Democrazia Cristiana da rappresentanti di potenze straniere per il suo progetto politico di avvicinamento al Partito comunista italiano. Ricordavo bene quello che avevo letto in modo dettagliato e poi scritto nel blog de il lametino: passaggi minuziosamente narrati sul rapimento e sull’uccisione di Aldo Moro. Significative in premessa le prime parole del libro: “Raccontare è complesso. È devastante spesso per chi racconta prima ancora che per chi legge. Raccontare ha un prezzo alto, troppo alto. Perché nel nostro Paese troppe cose, per alcune persone, non andrebbero raccontate. Tenendo la maggioranza all’oscuro, è più facile compiere i crimini più efferati, si nascondono meglio i traditori. E allora <le armi di distrazioni di massa > sono le più diffuse, come diffuse sono le considerazioni su chi si impegna per la ricerca della verità”.

Secondo la ricostruzione di Report il memoriale Morucci-Faranda sarebbe in gran parte inattendibile; dopo 46 anni si ripropongono molte domande. A riprova, l’intervista a Claudio Signorile, numero 2 dell’allora Partito socialista italiano: “Presenza ossessiva dei servizi segreti”. Ha confermato la telefonata di prima mattina, tra le 9,30 e le 10 del 9 maggio 1978, ricevuta dal ministro dell’Interno Francesco Cossiga, a cui si comunicava l’uccisione di Aldo Moro. Signorile si trovava nella stanza di Cossiga. Breve dialogo tra i due. Cossiga: “Mi devo dimettere”. Signorile: “Fai bene”.  Era saltata la trattativa per la liberazione di Aldo Moro. All’incirca due ore dopo, alle 12,15, la telefonata del brigatista Morucci al professore Francesco Tritto, amico della famiglia Moro, che annunciava l’esecuzione del presidente della Democrazia Cristiana: “Lo troverete in via Caetani”. Ricordo a memoria un commento: “Macabra messinscena”.

Un’altra intervista di Report: a Vincenzo Scotti più volte ministro ai tempi della Democrazia Cristiana e protagonista durante la cosiddetta Seconda Repubblica. Ha ricordato le aperture di Moro verso il mondo arabo: “Il popolo palestinese non ha bisogno di assistenza, ma di una patria”. Una posizione che né gli Israeliani né gli Usa erano disponibili ad accettare. Purtroppo. Se avessero accettato probabilmente si sarebbero evitati i disastri di ieri e di oggi. Henry Kissinger, potente Segretario di Stato degli Usa in quegli anni, mise in chiaro la necessità di impedire che Aldo Moro assumesse responsabilità di Governo aprendo la strada allo sdoganamento del Partito comunista italiano.

Nel libro inchiesta di Borrometi le dichiarazioni della figlia dello Statista democristiano Maria Fida ad una emittente padovana, corroborate dal deputato Gero Grassi, “rivelavano che il padre fosse sull’Italicus”. Era l’Espresso 1486 dove nella notte tra il 3 e 4 agosto del 1974 scoppiò una bomba ad alto potenziale provocando una strage. Morirono 12 persone. Gero Grassi, componente della Commissione d’Inchiesta sull’eccidio in via Fani: “Moro, due minuti prima che il treno Roma-Monaco [l’Espresso1486] parta dalla stazione Roma Termini, viene fatto scendere dal treno” (p. 60). L’avvertimento al Presidente della DC (riferito dalla moglie di Aldo Moro alla Commissione) di Henry Kissinger per quanto riguarda la strategia dell’attenzione verso il Pci: “Presidente, lei deve interrompere la sua volontà di portare tutte le forze del suo Paese a collaborare direttamente. Questo è un avvertimento ufficiale, veda lei come vuole intenderlo” (n. 41, p. 377). Altri particolari durante l’audizione: “O lei smette di fare questa cosa o lei la pagherà cara.” (n. 42 p. 378). La Commissione fece richiesta di ascoltare in merito Henry Kissinger, ma l’ambasciata statunitense “non diede mai risposta alcuna” (p. 60), come riferito dal ministro degli Esteri dell’epoca Paolo Gentiloni, rispondendo al deputato Cominardi, documenti [parlamentari] della XVII Legislatura (n. 43, ibid.).

E ancora: l’appartamento di via Gradoli fu occupato dai brigatisti nel periodo di preparazione del sequestro Moro; un anno dopo da terroristi di destra (p. 93); gli appartamenti di via Gradoli erano di proprietà del Sisde (Servizio segreto per le informazioni e la sicurezza democratica) in attività fino alla riforma del 2007 (cap. 4, p. 92).  “Via Gradoli, un covo per due estremismi” (p. 90, ibid.), così il titolo del paragrafo. I primi a parlare di strategia della tensione furono Neal Ascherson, Michael Davie e Frances Cairncross del The Observer britannico (cap. 2, p. 37). Per saperne di più, leggere il libro. Quanti scheletri negli armadi! Chiudo con le parole iniziali in Premessa: “Raccontare è complesso. È devastante spesso per chi racconta prima ancora che per chi legge”.

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