La Calabria tra restaurazione borbonica ed insurrezioni risorgimentali

Scritto da  Pubblicato in Francesco Vescio

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Le Potenze vincitrici contro l’Impero Napoleonico ed i suoi alleati con il Congresso di Vienna ( 1814-1815) intesero dare una sistemazione definitiva all’assetto europeo consentendo il ritorno delle dinastie che erano  al potere prima della Rivoluzione Francese e dell’Impero Napoleonico; avevano, inoltre, l’intenzione di cancellare anche le idee, le quali avevano sostenuto l’impeto rivoluzionario che aveva generato, ad esempio, l’eversione del Feudalesimo, le assemblee elettive dei rappresentati dei cittadini, etc.; si intendeva ritornare al potere assoluto del sovrano: dal cittadino al suddito; da ciò traevano grandi benefici, oltre ai sovrani: imperatore, re, duchi e così via, anche i nobili ed il clero dei diversi Stati; Russia, Austria e Prussia strinsero ufficialmente la Santa Alleanza non solo con l’obiettivo di stroncare tutte le novità politiche, sociali, culturali nate dai germi rivoluzionari, ma anche con quello di impedire, tramite  l’intervento armato, qualsiasi tentativo innovativo; tale ideologia restauratrice portò ad interventi continui nel campo delle idee: la censura la faceva da padrona, ma nella vita quotidiana il sospetto che si nutrissero nuove idee tendenti a mutamenti di qualsiasi genere portavano ad una presenza oppressiva delle forze di polizia e all’uso della delazione e poi della tortura, o almeno delle bastonature, come trattamento abituale verso gli accusati. Tale situazione era generalizzata dalla Spagna alla Russia e dalla Prussia al Regno delle Due Sicilie; associazioni segrete e movimenti insurrezionali erano affrontati con spie, controllo della posta e delle pubblicazioni, degli spostamenti dei singoli sospettati che si trasferivano spesso da uno Stato all’altro; questi provvedimenti alla lunga si dimostrarono inefficaci in quanto repressioni armate sulle piazze con morti, feriti, processi, pene ad anni e anni di carcere, condanne a morte, a volte eseguite a volte mutate all’ergastolo oppure a lunghe detenzioni, spesso seguite da grazie elargite dai sovrani ed amnistie, esilio volontario o coatto  si susseguivano continuamente in tanti Stati europei. Si evitarono per decenni le guerre, ma si dovettero affrontare conflitti politici e sociali particolarmente acuti, che spesso qua e là sfociavano in aperte insurrezioni armate, le cui motivazioni erano differenziate per i singoli Stati: in alcuni si chiedeva la Costituzione, in altri l’indipendenza in altri ancora, ad esempio in Inghilterra, leggi che migliorassero le condizioni di vita dei lavoratori. Nel presente scritto si tratterà in modo specifico della Calabria e dei moti insurrezionali che si svolsero nel suo territorio, ma tali moti vanno inquadrati certamente nella situazione particolare della Regione, però per una comprensione più ampia, sebbene non esaustiva, vanno collocati nel contesto storico e geografico sopra delineato, in quanto le idee, gli obiettivi, le modalità di agire erano molto simili sia tra i vari gruppi dei conservatori e dei reazionari da una parte e sia tra quelli progressisti e rivoluzionari dall’altra; c’erano legami profondi e mutevoli tra gruppi omogenei, però alleanze e rotture erano frequenti tra i diversi gruppi ed all’interno degli stessi a causa d’interessi divergenti. Il brano seguente può rappresentare un’eloquente esposizione di una problematica estremamente complessa: “Se l’Ottocento europeo è passato alla storia come un’epoca insolitamente inquieta, esplosiva e rivoluzionaria questo singolare incremento demografico [ L’autore ha trattato prima il notevole aumento della popolazione, N.d.R. ]  ne è per lo meno una delle cause. Contro una simile marea, nessun ordine politico e sociale poteva rimanere intatto. ‘Restaurare’ semplicemente le antiche istituzioni e tradizioni non era sufficiente a soddisfare le esigenze delle nuove masse umane apparse così bruscamente sulla scena europea. Soltanto una inesauribile inventiva, uno spirito innovatore e l’esperimento di nuove forme di vita sociale potevano mantenere in piedi la civiltà. Nell’ambito della produzione e distribuzione economica, questa inventiva e questo spirito innovatore assunsero le forme della cosiddetta ‘rivoluzione industriale’; nell’ambito della vita sociale quelle dello urbanesimo e poi del suburbanesimo […] Alla base della rivoluzione industriale fu l’applicazione dell’energia del vapore alle macchine, prima a quelle di produzione e poi a quelle dei trasporti. Invece di fabbricare le cose con utensili messi in moto dalla forza fisica dell’uomo, divenne più frequente valersi di macchine messe in moto dal vapore. Le macchine precedenti si erano generalmente valse dell’energia animale, del vento o dell’acqua. Ma l’energia animale non è fondamentalmente diversa né decisamente superiore alla forza umana; il vento costa poco, ma non c’è da fidarsene, e l’acqua trova gravi limiti nelle condizioni naturali. Quel che generalizzò l’uso delle macchine fu l’invenzione della macchina a vapore, che non era soggetta a nessuno di questi limiti […] I progressi della tecnica hanno continuato a rivoluzionare la civiltà europea in tutti i suoi aspetti. Le vie principali per cui l’industrialismo influì sul governo e sulla politica fu l’aver esso conferito nuova ricchezza e potere alla crescente borghesia dei commercianti, degli industriali e dei finanzieri, e l’aver creato un nuovo proletariato industriale. Come i proprietari terrieri furono in genere un baluardo del conservatorismo, così la borghesia fu uno dei principali motori del mutamento” ( David Thomson, Storia dell’Europa Moderna- Dalla Rivoluzione Francese al 1871- Vol. I, Feltrinelli, Milano, 1965, pp. 98-101).

Le contrapposizioni tra le forze della conservazione e quelle del mutamento sono delineate nei loro aspetti più significativi nel passo che segue: “Quel particolare ordine sociale ed economico cui corrispondevano le istituzioni della monarchia dinastica e dell’aristocrazia privilegiata aveva carattere statico, basato com’era sulla proprietà fondiaria e sull’agricoltura, sulla fede religiosa e sull’immobilismo politico. Viceversa, il nuovo ordine sociale ed economico che si andava formando, prima nell’Europa occidentale, poi in quella centrale e orientale, era fondato sulla ricchezza commerciale e industriale, sulla fede nella scienza e sull’energia delle popolazioni. Le vecchie bottiglie non potevano conservare all’infinito il nuovo vino” (David Thomson, Ibidem, p.111 ). La contrapposizione tra le forze in campo è lapidariamente sintetizzata nel testo successivo: “ La cuginanza dei re favorì la fratellanza dei ribelli [ Si fa riferimento alle numerose società segrete sorte in diversi Stati europei, N.d.R.]; e la ferocia delle repressioni provocò una resistenza parimenti fanatica” (David Thomson, Ibidem, p.122).

Per esplicitare, in modo sintetico, il tipo di rapporti familiari che i sovrani dell’Europa di allora intrattenevano tra di loro si riportano di seguito, a mo’ d’esempio,  i legami matrimoniali dei re delle Due Sicilie nell’Ottocento: a) Ferdinando I ( 1816- 1825)   ebbe in sposa Maria Carolina d’Asburgo – Lorena; b) Francesco I ( 1825-1830) sposò in prime nozze Maria Clementina d’Asburgo – Lorena e in seconde Maria Isabella di Borbone- Spagna; c) Ferdinando II ( 1830-1849) in prime nozze sposò Maria Cristina di Savoia ed in seconde Maria Teresa d’Asburgo- Lorena; d) Francesco II (1859- 1860) ebbe in sposa Maria Sofia di Baviera. Tali legami familiari delle Case regnanti coinvolgevano direttamente o indirettamente i vari sovrani nella vita politica e diplomatica del Continente e gli avvenimenti accaduti in un Paese potevano aveva forti ripercussioni nell’equilibrio fra le Potenze e provocare l’intervento di  una o più di esse in un altro Stato per sedare rivolte o moti rivoluzionari; frequenti furono gli interventi dell’Austria in quel periodo nel Regno delle Due Sicilie, ma anche La Francia e l’Inghilterra vi esercitarono la loro influenza. Le insurrezioni avvenute nel Regno delle Due Sicilie dopo il Congresso di Vienna vanno inquadrate nel contesto storico sopra indicato; gli eventi più rilevanti sono esposti in sintesi nel brano successivo: “Gli anni intorno al 1820 furono un periodo di crisi politica per quasi tutti i paesi europei. Malgrado la solidarietà tra le grandi potenze (che ben presto si rivelò del tutto precaria), l’imponente spiegamento di mezzi politici e propagandistici e l’intensa repressione poliziesca, la rivoluzione riprese il suo difficile cammino [...] Quasi contemporaneamente (1820-1821) la rivoluzione si propagò alla Spagna, al Portogallo, all’Italia e alla Grecia, esaurendosi in un ultimo sussulto col tentativo decabrista russo del 1825 […] I movimenti rivoluzionari europei del 1820-1821 furono preparati e preceduti da una intensa attività cospirativa svolta principalmente dalla Carboneria nei singoli paesi e attraverso tentativi di coordinamento internazionale delle attività e delle iniziative […] Il ciclo fu aperto da una insurrezione militare a Cadice (gennaio 1820) accolta favorevolmente dal resto dell’esercito e dai liberali. Il re dovette accettare che fosse rimessa in vigore la Costituzione che era stata promulgata a Cadice nel 1812. Mentre il timore di suscitare una resistenza nazionale come quella provocata dall’invasione napoleonica ritardava l’intervento della Santa Alleanza, il movimento insurrezionale si propagò all’Italia meridionale, per  iniziativa di ufficiali dell’esercito [ Si riferisce al moto di Nola  del 1° luglio 1820 capeggiato dagli ufficiali Michele Morelli e Giuseppe Silvati, a cui si aggiunsero subito dopo alti ufficiali come il generale Guglielmo Pepe,  N.d.R. ] di formazione napoleonica, e con l’appoggio dei liberali. […] Nel novembre 1820 si era riunito a Troppau, nella Slesia austriaca, un congresso di rappresentanti delle grandi potenze. Metternich [Cancelliere austriaco, N.d.R.] d’accordo con Russia e Prussia, aveva cercato di ottenere una dichiarazione di principio che autorizzasse le potenze ad intervenire negli Stati in cui fossero state imposte << riforme illegali>>. Francia e Inghilterra non avevano però voluto aderire a questo principio. Tenendo conto delle loro riserve, Metternich convocò un altro congresso a Lubiana (gennaio 1821) al quale fu invitato anche il re delle Due Sicilie Ferdinando I. Questi, ottenuta dal Parlamento l’autorizzazione ad accogliere l’invito, dopo aver promesso di difendere la Costituzione, invocò davanti al congresso l’intervento austriaco […] Il 23 marzo, mentre il generale austriaco Frimont entrava a Napoli, l’ultimo gruppo di deputati al Parlamento napoletano si disperdeva, dopo aver sottoscritto una vibrata protesta stesa da Giuseppe Poerio” ( Rosario Villari, Mille Anni di Storia- Dalla Città Medievale all’Unità dell’Europa, Mondolibri su licenza Gius. Laterza & Figli, Milano, 2001, pp.426- 432, passim).

La situazione calabrese ed il coinvolgimento della regione negli avvenimenti del periodo storico prima indicato è delineato nel passo successivo: “Apparentemente, dopo il 1815, tutto in Calabria sembra tornare nell’ordine più rigoroso […] Tuttavia nell’ambito delle  << vendite>> carbonare è in corso un profondo ripensamento, finché si giunge ad una rottura verticale: alla vigilia del ’20, la Carboneria si divide in due settori opposti, da un lato i borbonici, in parte divenuti Calderari al seguito del principe di Canosa, dall’altro i <<repubblicani>> con Gaspare Andreotti, capo della <<vendita>> cosentina l’Acherontea, e Gabriele De Gotti, capo  della <<vendita>> di Altilia [...] Il moto di Morelli e Silvati trova la Calabria pronta alla nuova esperienza costituzionale;  e si può aggiungere che la presenza di molti calabresi alla testa del moto (si ricordino Guglielmo Pepe e Giuseppe Poerio) serve potentemente alla diffusione delle nuove idee. Lo scoramento, dopo il fallimento dell’esperienza costituzionale, altrettanto rapido e profondo; gli arresti, le destituzioni, le condanne, ordinati dai nuovi intendenti (ferocissimo il De Mattheis a Cosenza) colpiscono i capi ma anche i subalterni, e perciò si stende dovunque una coltre di paura. Il Poerio, tornato da Napoli, tenta a Gimigliano, Stalettì, Mesoraca e Rossano un ultimo e disperato tentativo, ma resta solo ed è costretto a fuggire a Malta. Chiusa la parentesi costituzionale, seguono due decenni politicamente tranquilli; a parte i moti del ’37, l’anno del colera, il moto liberale sembra estinto; e invece esso prosegue sul terreno delle cose, segnatamente per il rafforzamento del nuovo ceto borghese e per un certo miglioramento che si nota nelle campagne” (Gaetano Cingari, Risorgimento Calabro, in ‘ tuttitalia –Enciclopedia dell’Italia Antica e Moderna – Calabria’, Edizioni Sadea Sansoni, Firenze,  1963, pp. 34-35). Negli Anni Quaranta dell’Ottocento l’attività cospirativa continuò come dimostrano i sollevamenti insurrezionali di cui si tratta nel testo che segue: “ Le tre Calabrie restano indifferenti nel 1843, anno in cui si sollevano le Romagne. Si emozionano solo alcuni elementi della borghesia i <<carbonari>>; come avverrà nel 1844 col fallimento del piano dei fratelli Bandiera, sbarcati sulla foce del Neto, catturati per il tradimento dei Baracco e fucilati a Cosenza […] Più importante appare la << rivoluzione>> del ’47 scoppiata a Reggio, promotori gli stessi capi liberali che in collegamento coi <<carbonari>> e liberali di là dello Stretto e, parte di essi, provenienti da Napoli dove avevano preso contatto con Carlo Poerio e il principe di Torella […] L’insurrezione, progettata per il 2 settembre, in collegamento con quella dei messinesi, scoppiò, ma isolatamente, essendo  fallita l’altra per una prematura anticipazione” ( Enzo Misefari, Storia Sociale della Calabria – Popolo, Classi Dominanti, Forme di resistenza dagli Inizi dell’Età Moderna al XIX Secolo, Jaka BOOk, Milano, 1976, pp. 261-262).

I diversi tentativi insurrezionali scoppiati in Calabria dopo la restaurazione borbonica da una parte dimostrarono una notevole debolezza organizzativa dei cospiratori, ma dall’altra un’estrema incapacità politica ed amministrativa della Casa regnante nell’ avviare a soluzione i gravi secolari problemi economici e sociali, che travagliavano la regione.

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