La società calabrese durante il Regno delle Due Sicilie: tra immobilismo e modernità

Scritto da  Pubblicato in Francesco Vescio

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francesco_vescio-ok_48ed3-1_c2018_736f4_c645b_efd06_cf25d_61a3f_f5055_5e33f_9bc9f_2e2b4_7933e_1335d_e767a_1cf0c.jpgNel presente scritto si cercherà di esaminare la società calabrese del primo Ottocento sotto diversi aspetti quali: incremento demografico, dislocazione degli abitanti sul territorio, stratificazione sociale, addetti ai settori produttivi, etc. Tra la fine del Settecento e l’inizio del secolo successivo in Calabria si verificò un notevole aumento della popolazione per come evidenziato nel brano successivo: “Nel 1765, quando si ricavano le prime indicazioni a cui possiam dare un relativo, se pur minimo credito, la popolazione era di 648.000 unità e salì a 725.000 anime nel 1775. Ma nel 1788, uscita da una spaventevole catastrofe- il sisma del 1783, con la coda dei morbi conseguenti, mieté 50.000 persone - la penisola bruzia denunziava non più di 750.000 abitatori. Invero è precisamente in questi anni di iniziale, timido, ma già riconoscibile ricambio sociale – e di formazione delle prime borgate di <<marina>> sui litorali occidentali, e di iniziative per una migliore sistemazione dei suoi abitati nelle aree colpite da sismi e frane – che la regione dà segni pure di un deciso e sicuro aumento demografico: dopo il periodo napoleonico, cioè nel 1815, la popolazione risulta di poco più di 805.000 ab. (negli ultimi diciotto anni era cresciuta quindi di qualcosa come 5 per mille annualmente). E nel 1851, secondo l’ultimo censimento borbonico si è portata a un milione e 138.250 ab.: in quei trentacinque anni di intervallo il suo aumento aveva perciò segnato un ritmo notevole (quasi 12 per mille annualmente). Un ritmo che, pur alleggerendosi via via, si è continuato fino verso il 1881 …(Lucio Gambi, Calabria, UTET, 1978, pp. 205-206). 

Nello stesso periodo si avviò lentamente lo spostamento di nuclei di abitanti dalle zone collinari e montane verso le aree costiere, tale fenomeno nel tempo muterà profondamente l’insediamento della popolazione nella regione; ecco come è esplicitato nel passo seguente: “Nel Settecento, l’antico pericolo della pirateria, delle scorrerie e delle razzie lungo le coste era quasi tramontato. Quasi, non del tutto […] perché l’ultima vera razzia turchesca venne consumata nel 1815. Lungo il secolo XVIII, la Calabria aveva continuato a vedere le sue coste oggetto delle scorrerie e delle incursioni; ma ormai la guerra di corsa andava assumendo gli esclusivi caratteri degli assalti pirateschi alle navi da carico, che però andava scemando di frequenza e d’intensità, sia perché tutta l’area ottomana era in grave crisi sia per il rafforzamento della difesa del Regno, ottenuta più con il potenziamento della flotta che con il sostegno della catena di torri di guardia lungo le coste – non sempre utili e, comunque, assolutamente difensive [...] Resta comunque accertato che, se nel secolo XVIII l’economia costiera di Calabria cominciò a rifiorire, inducendo alla creazione di piccoli nuclei di abitati, ciò ebbe a determinarsi per esclusivo merito del commercio marittimo [… ] A partire dal secolo XIX, fattosi stabile e rilevante l’aumento della popolazione calabrese, si rendevano organici gli scambi tra i nuclei produttivi dell’entroterra e questi piccoli nuclei della costa, rimasti assai legati, anche nel nome, ai comuni originari insediati a monte. Il loro sviluppo, però, era ostacolato dalla malaria, che impediva un impegno costante nell’ampliamento dell’attività economica in questa fascia recentemente riconquistata” (Augusto Placanica, I Caratteri Originali, in ‘La Calabria – Storia d’Italia – Le Regioni dall’Unità a Oggi’, Einaudi, Torino, 1985, pp. 55-57).  

Nel brano successivo  sono sinteticamente indicati i dati riguardanti gli addetti alle diverse tipologie delle attività economiche svolte ed il loro lieve variare nel tempo preso in considerazione: “ La popolazione attiva contava 799.500 unità nel 1820, 816.5888 nel 1849 ed era divisa in nove categorie: i <<possidenti>, i nobili viventi, <<i capi famiglia ed emancipati per qualunque titolo>>; gli impiegati ad arti liberali, cioè  << medici, chirurgici,  speziali di medicine, pittori, ritrattisti, ingegneri, incisori, scultori di prim’ordine, maestri di scuola >>; la terza, la quarta e la quinta categoria comprendevano il clero regolare e secolare, i contadini, cioè << gli uomini di campagna che vivono lavorando la terra in qualunque modo>>; gli artisti e domestici, cioè << i maestri e lavoranti in qualunque arte e le persone addette a qualunque mestiere vile>>; i marinai e i pescatori, << cioè quelli che vivono esercitando l’arte di mare, o come padroni di barche e come semplici  marinari e pescatori; infine i mendici, cioè coloro che <abitualmente vivono pitecando [ = pitoccando, mendicando, N.d.R.] e  perché non hanno alcuna arte, perché hanno lasciato di esercitare quelle che avevano>>[...] In particolare emerge la predominanza dei contadini, il cui numero tuttavia, tra le due rivelazioni del 1820 e del 1849, subì una flessione dal 58,64% , cui corrisponde un incremento delle categorie dei possedenti e dei mendici che passarono rispettivamente dal 25,21% al 26,48% e dal 5,84% al 7,40% della popolazione. Irrilevanti le altre variazioni” (Giuseppe Brasacchio, Storia Economica della Calabria – Vol. Sesto - La Calabria Dalla Restaurazione- 1816 alla Fine del Regno- 1860, Edizioni EffeEmme, Chiaravalle Centrale, 1980, p. 55).

La società calabrese, nel periodo storico preso in esame, era caratterizzata prevalentemente dall’immobilismo economico e sociale, eppure lentamente si manifestarono dei fenomeni evolutivi di particolare importanza, da come di può evincere dal testo che segue: “Al miglioramento dell’igiene degli abitati cure particolari dedicarono non solo le amministrazioni, ma anche il governo centrale. Sin dai primi anni della Restaurazione, e più volte in seguito, il governo borbonico ribadiva precedenti disposizioni sull’obbligo da parte dei comuni di costruire cimiteri fuori l’abitato e di usare, al più, per l’inumazione dei cadaveri, cappelle rurali, e conventi extra moenia [= Fuori dalle mura dei centri urbani, N.d.R.]. Ad ostacolare questi provvedimenti un grosso peso esercitava la tradizione, tanto che i cimiteri costruiti secondo le nuove disposizioni non furono molti, ma anche l’adattamento degli orti dei conventi soppressi o di chiese fuori mano a camposanti contribuì al miglioramento igienico di città, paesi, villaggi. Allo stesso scopo furono emanate disposizioni con l’obbligo di costruire i nuovi frantoi fuori l’abitato, di spostare i vecchi fuori le mura e di trasportare le vasche per la macerazione del lino ‘lungi dai paesi’. Ma tutte le iniziative in materia di igiene pubblica cozzavano contro abitudini antichissime, che volevano il morto nella chiesa sotto casa, il trappeto a portata di mano, la pubblica strada come ricettacolo delle immondizie (compresi i vasi da notte) private e gli animali domestici in particolare, maiali, galline, cani e gatti come pubblici spazzini. Spesso anche le amministrazioni comunali erano partecipi di questo modo di pensare, tant’è che la vendita di rifiuti urbani dagli amministratori agli ortolani era una voce attiva dei bilanci comunali […] La cittadina che ebbe lo sviluppo urbano ed edilizio più moderno e più rispondente alle esigenze nuove di igiene e di vita sociale  fu Reggio […] La città risorse su pianta regolare, con strade larghe per i tempi (al posto delle antiche e tortuose viuzze), le quali si distendevano parallele dinanzi alla stupenda marina, intersecate da vie trasversali. Il primo fronte di case signorili formava una prospettiva bellissima ad imitazione della ‘palazzata’ della prospiciente Messina. Ogni rione fu munito di fogne e di una pubblica fontana con lavatoio. La domanda di animazione culturale e di emulazione sociale dei ceti elevati fu assecondata con la costruzione in soli due anni di un teatro lirico, che fu intitolato alla dinastia Borbone e fu inaugurato solennemente il 30 maggio 1818 secondo le linee architettoniche che ricalcavano il teatro dei Fiorentini a Napoli […] D’altra parte l’inaugurazione di un ospizio provinciale per orfani ( 1821) e per orfanelle ( 1831) rispose al tentativo di fronteggiare meglio ai problemi dell’infanzia abbandonata, che era anche un problema igienico oltre che umanitario […] Ma la domanda di una migliore igiene, di una maggiore sicurezza e di centri di animazione culturale adeguate ai tempi e diversi da quelli tradizionali, venne anche dalle altre città e fu in parte assecondata. Così Cosenza  ebbe, oltre al regolamento igienico del 1838 già ricordato, l’illuminazione notturna ad olio nel 1830 e nello stesso anno il teatro, che purtroppo fu demolito, tranne il pronao centrale a quattro colonne doriche e il fronte neoclassico, nel 1853, quando i Gesuiti riottennero il suolo su cui era edificato e su cui sorgeva la loro chiesa e il loro collegio prima dell’espulsione dal Regno nel 1767 […] Catanzaro, dal canto suo, si dotò in questi anni di un orfanotrofio femminile, sistemandolo nel vecchio convento di Santa Maria della Stella (1823);  di un ospedale civile  (1826), ricavandolo da un’ala del soppresso convento di Sant’Agostino (dato che il vecchio ospedale di San Giovanni di Dio era stato trasformato in carcere nel periodo francese); di un teatro (inaugurato il 28 dicembre 1830 nel nome di Francesco I di Borbone morto nell’anno), che nella facciata ricordava il San Carlo di Napoli.  […] In fondo, però, i capoluoghi di provincia rispondevano più rapidamente all’esigenza di modernizzazione per la loro situazione privilegiata di sede dei principali uffici e delle maggiori istituzioni dello stato. Ma i centri minori, soprattutto quelli che si fregiavano del ‘titolo di città’, in gara di emulazione anche campanilistica, non volevano essere da meno […] Se volessimo sintetizzare in tre punti il processo di trasformazione che investì la Calabria in questi anni, potremmo dire che ogni borgo ebbe la sua fontana, ogni cittadina capoluogo di distretto o di circondario il suo ospedale, ogni centro abitato il suo ufficiale sanitario per l’inoculazione del vaccino antivaioloso. Inoltre comincia in questo periodo la discesa dalle cime aspre e inaccessibili delle colline verso la costa sia tirrenica che jonica: i nuovi insediamenti sono stabili, ma le case spesso servono anche ad uso di divertimento e di villeggiatura. Era questo il preludio di un movimento che avrebbe assunto proporzioni massicce nella seconda metà dell’800, favorito anche dalla costruzione delle ferrovie Metaponto- Reggio ed Eboli-Reggio” (Michele Fatica, La Calabria nell’Età del Risorgimento, in ‘Storia della Calabria Moderna e Contemporanea – Il Lungo Periodo ’, Gangemi Editore, Roma-Reggio Cal., 1992, pp. 468-472, passim). La situazione sociale della regione restò inalterata per la maggioranza della popolazione a causa dell’analfabetismo diffusissimo, della miseria che spesso spingeva tanti verso la mendicità, alla presenza della malaria principalmente nelle zone pianeggianti e costiere, ma nei centri urbani si adottarono dei provvedimenti di igiene pubblica di un certo rilievo e ci si prese la cura di edificare teatri che svolsero un ruolo importante per nuove forme di animazione culturale.       

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