Padre Nostro della Sila, delle foglie e delle nebbie, sia fatta la tua volontà

Scritto da  Pubblicato in Francesco Bevilacqua

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Una coltre di nebbie copre il fondo della conca di Decollatura. Come volesse nasconderla alla vista o proteggerla. I villaggi riposano ignari. Estasiati, su un’altura accanto alla strada che stavamo percorrendo per andare in Sila, guardiamo il lago di nubi, che rilucono sotto la prima luce del mattino. Sopra, il limpido cielo schiarisce, dopo le piogge degli ultimi giorni.

Riprendiamo il viaggio, sostando spesso a cogliere gli ultimi colori dell’autunno che incendiano gli alberi. Vi è qualcosa di soprannaturale in tutto questo. Lo stupore che sale dalle viscere del mio corpo è gratitudine per ciò che mi è concesso.

È in momenti così che penso al Grande Mistero che pervade, guida, orienta le nostre vite. “Sia fatta la tua volontà” recita la preghiera. La pronuncio almeno due volte al giorno, al mattino appena sveglio e la sera prima di addormentarmi. Benché il mio credo non assuma formalisticamente i dogmi, i precetti della nostra religione.

Non penso che l’uomo sia fatto ad immagine e somiglianza di Dio. E non so esattamente chi sia Dio. Non mi interessa dargli un volto, un sembiante. Non voglio credere che abbia dei figli prediletti, che si sia incarnato in un solo corpo, in un unico luogo. Non penso che sia onnipotente. Non credo che abbia vinto la morte: come Heidegger credo che la morte sia la vera possibilità, incondizionata e insuperabile. Eppure, avverto di dovergli rendere grazie in ogni momento della mia vita, anche quando arriva il dolore, quando irrompe la sofferenza. Perché so di non essere nulla, di non valere niente dinanzi all’immensità dell’impresa biotica sulla Terra. E non m’importa di capire perché io sia stato gettato nel mondo, perché sia vivo, quanto tempo abbia ancora per godere della gioia e della meraviglia, ma anche per accettare i loro contrari.

Questo mi dice oggi, la grande foresta di Caporosa, che si spande sulla sponda nord del Lago Ampollino, con i suoi pini giganti, come vecchi uomini saggi, solitari, silenziosi. Ci lasciamo alle spalle i prati fumiganti, mentre il mondo risorge dalla notte. Su, fino alle rupi affastellate, come torri e castelli, sul crinale. La vista del Lago Arvo e delle montagne incanutite è sempre magnifica, dalla sommità della rupe cui diedi il nome di una persona a me cara, che riposa in forma di ceneri sparse nella terra, sulla sponda del lago che mi appare dinanzi. Circondata dalle gialle fiammelle dei pioppi tremuli, dai tronchi bianchi come candele.

Risaliamo a lungo verso Monte Palombelli, con un’altra, miracolosa veduta verso sud-est. E poi scendiamo lungo la valle della Fiumarella, con i muri sberciati dell’antica torre. Dal muro più alto cresce un piccolo pino che s’innalza verso il cielo. Solo un miracolo può produrre tanto questo. Credo ai miracoli, perché ogniqualvolta salgo in queste solitudini incontro la bellezza. Per me non m’aspetto nulla: mi rimetto nelle mani del Grande Mistero ed accolgo qualsiasi suo dono. “Teologia per tempi incerti” recita il titolo di un libro che un’amica dotata di rara spiritualità mi ha regalato. Non comprandomene una nuova copia ma donandomi la sua, sgualcita e segnata, perché il dono fosse ancor più commosso. “Storia di umanità e di fragilità” si legge nelle note di copertina. E all’interno, la fragilità diviene “dono prezioso”. Ed è così che i miei passi fra gli ontani, le ciglia delicate della Fiumarella, con intorno il cielo che trascolora e gli alberi che tendono le loro braccia, divengono preghiera. Perché, come scrisse una grande, fragile anima, Franz Kafka, “Il semplice fatto che viviamo è un valore di fede”.

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